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Anche gli eroi passano di moda. William Shakespeare (da “Troilo e Cressida”)

Di |2020-09-11T15:17:17+01:0031 Luglio 2020|Open space|

Libri usati

O che si dovrebbero usare. Brevi passi da sottolineare, a volte da percorrere.

(discorso rivolto da Ulisse ad Achille)

 

Signore, il tempo, enorme mostro di ingratitudine

ha una scarsella sulla schiena dove mette le elemosine

per dimenticarle. Quegli scarti sono le buone azioni passate,

che vengono consumate mentre si compiono e dimenticate

appena fatte. È la perseveranza, signor mio,

che mantiene lustro l’onore: avere fatto è rimanersene

appesi lì, fuori moda, come un’armatura arrugginita

in irrisoria monumentalità. Prendete subito la via che si offre

perché la gloria cammina su un sentiero così stretto

che di fronte ci si passa solo per uno. E tenete bene il sentiero,

perché l’emulazione ha mille figli

che si incalzano l’un l’altro. Se date il passaggio,

o sbandate dalla giusta direzione,

si avventano tutti come marea irrompente

e vi lasciano per ultimo;

oppure, come il cavallo generoso caduto in prima fila,

eccovi lì a far da terra battuta alla vile retroguardia,

travolto e calpestato: perché le loro azioni attuali,

quantunque inferiori alle passate vostre, fatalmente le superano;

il tempo infatti è un padrone di casa mondano

che stringe distrattamente la mano all’ospite che se ne va

e accoglie il nuovo arrivato spalancando le braccia

come per spiccare il volo: il benvenuto sorride sempre

e l’addio se ne va sospirando. Oh, la virtù non deve aspettarsi

ricompensa per ciò che era; perché bellezza, intelligenza, nobiltà di nascita,

vigoria fisica, merito conquistato in servizio,

amore, amicizia, carità, tutto è soggetto

all’invidioso e calunnioso tempo.

Nell’indole degli uomini c’è questo di comune:

che tutti impazziscono per gli articoli di nuova fabbricazione,

benché ricavati e imitati dai vecchi prodotti,

e lodano la polvere appena un po’ dorata

più dell’oro impolverato. L’occhio presente

apprezza l’oggetto presente: dunque non ti stupire,

tu uomo grande e completo, se i Greci cominciano

a idoleggiare Aiace; le cose in movimento

attirano l’occhio prima delle immobili.

Un tempo l’urlo era per te, e potrebbe

esserlo ancora, e può esserlo sempre,

se non ti sotterri vivo e non richiudi

la tua fama nella tua tenda, tu, le cui imprese gloriose

ancora di recente su questi campi

hanno suscitato

l’emulazione degli stessi Dei e trascinato il grande Marte

a prendere partito.

Cosa significa scegliere. Aristotele, dall’Etica Nicomachea

Di |2020-09-11T15:17:18+01:0024 Luglio 2020|Open space|

Libri usati

O che si dovrebbero usare. Brevi passi da sottolineare, a volte da percorrere.

Dopo aver definito il volontario e l’involontario, di seguito si deve analizzare la scelta: essa pare strettamente connessa con la virtù, e permette di giudicare i caratteri ancora più delle azioni. La scelta non è identica al volontario, perché ha una maggiore estensione: infatti anche i fanciulli e gli altri animali hanno a che fare con ciò che è volontario, mentre la scelta è cosa a loro estranea; poi noi diciamo volontari gli atti improvvisi, ma non li diciamo frutto di una scelta.

Quelli che dicono che la scelta è desiderio, impulso, volere o una qualche forma di opinione, non ci pare che si esprimano correttamente. Infatti la scelta non si trova anche negli animali irrazionali, ma impulso e desiderio sì. Chi non si sa dominare agisce per desiderio, ma non secondo una scelta, mentre chi si domina agisce per scelta, ma non per desiderio. E il desiderio riguarda il piacere e il dolore, mentre la scelta non riguarda né piacere né dolore.

La scelta non è nemmeno volere, sebbene sia evidente che è della stessa specie: non si dà infatti scelta delle cose impossibili, e se uno affermasse di sceglierle sembrerebbe un insensato. Invece si dà volere degli impossibili, per esempio dell’immortalità. E mentre il volere riguarda anche le cose che non vengono compiute da chi le vuole, per esempio che un certo atleta vinca la gara, nessuno sceglie cose simili, ma ognuno sceglie quelle che ritiene dipendere la lui. Inoltre il volere è soprattutto relativo al fine, mentre la scelta di ciò che porta al fine; per esempio: vogliamo essere sani, vogliamo essere felici, e questo possiamo dirlo, ma non è corretto dire: scegliamo di essere felici; in generale infatti sembra che la scelta riguardi quello che dipende da noi.

Perciò la scelta non sarà nemmeno opinione. Infatti l’opinione pare che sia rivolta a ogni oggetto, alle cose eterne e a quelle impossibili non meno che a quelle che dipendono da noi; e si divide con il criterio del vero e falso, non con il criterio del bene e male, mentre la scelta si divide soprattutto in base a questi.  Noi diventiamo persone buone o cattive attraverso lo scegliere i beni o i mali, e non per il fatto di avere certe opinioni. Inoltre la scelta è lodata per avere per oggetto ciò che si deve, mente l’opinione è lodata per essere vera. E mentre scegliamo ciò che sappiamo bene che è buono, abbiamo opinioni anche su cose di cui non abbiamo alcun sapere. Non pare che siano gli stessi a scegliere le cose migliori e ad avere delle opinioni su di esse; al contrario vi è chi ha opinioni notevolmente buone ma, a causa dei suoi vizi, sceglie ciò che non deve. Cos’è dunque la scelta, e di che specie è dato che non è nessuna delle cose che abbiamo detto? È certo evidente che è una cosa volontaria, ma non tutto ciò che è volontario è un oggetto di scelta.

O forse è ciò che è stato già deliberato? Infatti la scelta è unita a ragionamento e pensiero. Anche il nome sembra indicare quello che viene scelto invece che altre cose.

Recensione del film “Favolacce”

Di |2020-09-11T15:17:18+01:0023 Luglio 2020|Il Nuovo Giudizio Universale|

Un tempo, per cinema di periferia si intendeva una sala di proiezione collocata in un quartiere culturalmente sprovvisto, dotata di una programmazione o particolarmente truce o all’inverso con una selezione ricercata – sia pure in seconda o terza visione – e con uno charme particolare per gli abboccamenti romantici. (altro…)

Il potere di veto

Di |2021-04-21T14:37:38+01:0023 Luglio 2020|Limite di velocità|

Dai tribuni della plebe a Mark Rutte, ma non si tratta della stessa cosa.

Il potere di veto conosce tre forme solo apparentemente simili, ma in realtà completamente distinte. Nella prima rientrano tutti i casi in cui in cui un potere interferisce negativamente sulla facoltà di decisione di un altro potere. (altro…)

Ma perché il distanziamento sarebbe sociale? Le strategie linguistiche durante il Covid

Di |2020-12-15T14:46:06+01:0010 Luglio 2020|Limite di velocità|

Una delle rivoluzioni portate dal Covid ha natura linguistica: le parole e le espressioni più usate sono diventate – e per lo più continuano a essere – alcune che non conoscevamo prima o che avevano un ruolo marginale o inesistente nelle conversazioni e nell’informazione. (altro…)

Il laboratorio della vita di Carlo Flamigni

Di |2020-09-11T15:17:18+01:0010 Luglio 2020|Open space|

Carlo Flamigni è stato una delle persone più intelligenti, colte e generose che ho conosciuto. E’ stato, oltre che un luminare della medicina, un intellettuale a tutto tondo, un idealista e innovatore sociale, un paladino dei diritti delle donne e un ottimo narratore. Voglio qui ricordarlo con l’apertura in home dedicata a quel “laboratorio della vita” a cui ha consacrato se stesso e con due sue recensioni, una sul check up, pubblicata su Giudizio Universale, e l’altra sulla prostituzione, tratta dalla “Guida al corpo della donna”, edita sempre da Giudizio Universale. Della rivista fu un assiduo collaboratore, e si oppose fermamente a ogni tentativo di retribuirlo. Non lo sentivo da molti anni e la sua morte, il 5 luglio 2020, mi ha fatto pensare alla leggerezza stupida e irrecuperabile con la quale si rinvia per sempre una telefonata di saluto o un incontro in più con una persona straordinaria.

Insalata di salute

Un controllo generale, una serie di accertamenti e via, come quando si fa il tagliando all’auto. Il check-up è l’illusione della prevenzione: perché molte analisi sono inutili. Parola di medico

 

Sono laureato in medicina da tanto tempo che non sono nemmeno sicuro che la mia laurea abbia ancora validità legale (scadono?). Penso dunque di aver avuto il tempo di farmi un’opinione della medicina in generale, dei medici e dei laboratori, e non è poi che ne pensi tanto bene; la medicina ha uno statuto scientifico fragile ed è troppo spesso empirica e fallace; i laboratori utilizzano una congerie di tecniche non sempre utili che danno risultati non sempre comprensibili e non sempre corretti.

 

Dovrei, a questo punto, parlare dei medici, visto che sono loro a chiedere al laboratorio tutti questi esami, ma il ragionamento sarebbe troppo lungo e altrettanto complesso, lasciate che lo rinvii ad una prossima occasione. Questa premessa mi è indispensabile per giustificare il giudizio negativo che do non tanto del check-up come organizzazione sanitaria, quanto del principio che lo ispira; a parte il fatto, per niente secondario, che tra questi ”centri per il controllo della salute generale” c’è un po’ di tutto, nel bene e nel male, una inevitabile conseguenza della medicina commerciale e senza controllo nella quale siamo costretti a cercare il bandolo di quella matassa ingarbugliata che è la nostra salute.

 

L’idea che ha motivato la nascita di questo pullulare di centri medici che promettono di verificare a fondo lo stato di salute dei cittadini (la terminologia utilizzata è quasi sempre quella che si usa per le automobili: venite a fare un tagliando!) è, a prima vista, condivisibile: una bella revisione del motore, un attento controllo della carrozzeria e delle ruote e si esce come nuovi, nessun timore per almeno un anno, fino al prossimo controllo: questa, signori, e prevenzione!

 

Col cavolo che questa e prevenzione, e ci rimetto il punto esclamativo! La prevenzione è, soprattutto, cultura: è igiene di vita, alimentazione corretta, esercizio fisico, niente fumo e poco alcool. Ha i suoi rischi (ad esempio e mortalmente noiosa) ma ha i suoi straordinari vantaggi. Certo piacerebbe anche a me: una vita da bohemien, a tutta velocità, un check-up una volta l’anno, via cosi, imperterrito, fino ai 90 anni. Purtroppo non è cosi: i fumatori che fanno una radiografia dei polmoni tutti gli anni e quelli che non la fanno mai ci lasciano più o meno nello stesso giorno. La sola differenza che ci trovo e che se sai con qualche anno d’anticipo che hai cominciato a morire, ti sei rovinato anche quell’ultimo periodo della vita, prima dell’arrivo della tosse.

 

ll reparto della Stretta di Mano

 

Dunque, un buon ”tagliando personale”, la serie di controlli che scava nelle profondità del tuo corpo per salvarti la vita, in realtà serve ben poco: se fosse utile a salvare molte vite, ad allungarle di un numero significativo di anni, tutti i cittadini avrebbero il diritto di chiedere allo Stato di organizzarne uno per loro: perbacco, gli direbbero, perché solo ai ricchi? Dove sta la tua tanto vantata equità? E noi? Ma le cose non stanno cosi, e lo Stato ha vita facile: chiama in causa gli epidemiologi, quelli che sono chiamati a stabilire i costi e i benefici d’ogni singola attività sanitaria, e sa che loro dicono che il check-up, quello mastodontico e mirabolante del quale sto parlando (venite a fare il tagliando!) non è utile. O meglio, forse è utile ai ricchi. Ma loro hanno una biologia diversa, una salute che gode ad ogni prelievo di sangue e rifiorisce ad ogni rettoscopia.

 

È lecito che qualcuno mi chieda come mai questi centri abbiano tanto successo, cosa facile da desumere dal fatto che ce ne sono tanti in giro. Ebbene, anzitutto forniscono un alibi consistente ai pigri, agli indaffarati, ai distratti, a quelli che non hanno mai il tempo di passare dal dentista (e prima o poi finiscono in dentiera), illudendoli che e possibile cavarsela con un giorno di full immersion, costerà un po’, ma vale la pena. E poi, diciamocelo, c’è in giro un gran bisogno di medicina, ma di una medicina diversa di quella che ci viene ammannita, più affettuosa, consolatoria, rassicurante, 200 esami di laboratorio e solo cinque che non vanno bene, anche questa volta la sfangheremo. E se ci aggiungo un po’ di saporito condimento scientifico? Faccio una scommessa con voi: lasciatemi aprire, nel mio vecchio ma famoso ospedale, un reparto assolutamente improbabile (chiamiamolo Servizio di Fisiopatologia della Stretta di Mano con 50 letti e tre ambulatori) e lo riempio in sei mesi.

 

Se avessi tempo e spazio potrei farvi un elenco dettagliato degli esami che dovreste evitare, separando quelli inutili da quelli prevalentemente sbagliati, e l’elenco più lungo riguarderebbe quelli che i medici o non capiscono o non conoscono, comunque non leggono mai. Conosco esami sulla fertilità che sono cari come il silfio e dei quali non è mai stata riconosciuta la validità, e altri che l’Oms ha ripetutamente chiesto di non fare più, perché fanno solo confusione: posso dire che è vero, almeno sul mio tavolo fanno confusione, ogni coppia di pazienti me ne porta un paio. Solo un esempio delle mie personali perplessità: gli esami post-coitali sono stati sconsigliati molte volte dalle associazioni mediche perché ritenuti inutili; gli spermiogrammi sembrano molto spesso lettere minatorie scritte da un analfabeta e molti laboratori usano ancora standard abbandonati da almeno 30 anni; il test di tossicità embrionale ha, di notevole, soltanto il costo, una vera follia; e sfido chiunque a spiegarmi a cosa si riferisce l’indice di Stoppardi (a me sembra che abbia a che fare con la sindrome del Leotta, ma potrebbe anche essere la sindrome del Solieri; chissà!).

 

Per concludere. Mi piacerebbe ritornare alla vecchia medicina “del malato”, quella che i medici di un tempo esercitavano senza neppure saperlo e nella quale impegnavano le loro virtù, piccole o grandi che fossero.  Quella che oggi ci propinano e la medicina ”della malattia”, contrattuale e commerciale, che non si occupa delle persone, che ritiene che una dichiarazione di competenza valga quanto una dimostrazione di compassione e che di virtù ne mette in campo ben poche. E il silenzio delle virtù genera check- up.

Prostituzione

Proviamo a partire dai numeri. In Italia ci sono attualmente più o meno 70.000 prostitute, 15.000 delle quali sono minorenne. Le prostitute straniere sono più di 30.000 (nigeriane, albanesi, polacche, bielorusse e chissà cos’altro) e si contano circa 5.000 transessuali.

 

Si ritiene – ma è impossibile dimostrarlo – che ci siano almeno 2.000 ragazze ridotte in schiavitù e obbligate a vendere il proprio corpo; il numero dei protettori (lenoni, papponi, ruffiani), non è noto, ma sembra che ognuno di loro ottenga (?) circa 7.000 euro al mese in cambio della protezione (?) offerta. Della prostituzione camuffata (escort, entreneuse, danzatrici del ventre, interpreti di film hard, frequentatrici abituali S.M.P. dei talk show televisivi) e di quella atipica (omosessuali, travestiti) si sa poco, ancor meno si sa di quanto avvenga nei club e nei privé. Scarsa consuetudine con gli acronimi? S.M.P. significa Solo Mutande Piccole.

 

Esiste una scala di valori tra tutte le categorie alle quali ho fatto cenno, i tempi passano ma le differenze tra le puttane restano quasi immutate, a fare classe sociale. Una volta c’erano i casini per soldati, 200 lire per una fellatio senza nemmeno togliersi i pantaloni, e poi le case per buoni borghesi e preli di campagna, e infine le case di appuntamento, bisognava essere stati presentati, si diceva che fossero frequentate da studentesse universitarie e mogli di bravi professionisti in cerca di una qualsiasi giustificazione per non morire di noia. Adesso c’è la sveltina nell’androne, il piccolo appartamento borghese nel quale bisogna avere orgasmi silenziosi, l’albergo 5 stelle con il portiere compiacente, lo studio del produttore con il preservativo infilato sotto il cuscino centrale del divano, il villone signorile. In più, forse, un po’ di cocaina, qualche droga leggera, cassette di film porno per non perdere l’abbrivio.

 

Oggi come un tempo, il sistema non punisce nessuno, dovrebbe, ma non lo fa. Non si può mai sapere: la prostituzione è un problema sociale, meglio non impicciarsi; i clienti, i clienti chissà, potrebbero essere persone per bene in cerca di un momentaneo svago, o peggio, potrebbero essere…

E poi, ammettiamolo, la società oggi è molto più tollerante, a certe cose non ci fa caso nessuno, e poi chi mai ha voglia di dare il buon esempio?

 

“Prostituta” è parola che deriva dal latino prostituere (porsi davanti), e il significato etimologico – indica la schiava che viene posta in vendita davanti alla bottega del padrone — è ancora oggi valido. Perché qui sta tutto il problema, ancora una volta connesso con i diritti personali e la libertà. Penso che nessuno possa proibire a un cittadino di fare, del proprio corpo, l’uso che ritiene più opportuno, ammesso che si attenga ad alcune semplici regole, come quella di rispettare l’igiene, di non dare scandalo, di non offrirsi ai bambini e ai vecchioni. Quello che c’è di odioso nel commercio del corpo è l’esistenza dei racket, degli sfruttatori, dei ruffiani, degli schiavisti; quello che c’è di bestiale è la coercizione, la violenza, l’insopportabile ricorso alla prostituzione minorile. Quello che c’è di incredibile è che nessuna società civile riesca a evitare queste vergogne.

 

Mi offro senza difesa alle critiche e al ridicolo. A diciott’anni sono stato per almeno 3 giorni innamorato di una signorina, chiamata la Triestina, che lavorava in un bordello a Forlì. Andavo a trovarla quando uscivo di scuola, c’erano pochi clienti e potevo parlare con lei, i soldi per una marchetta li avevo raramente. Era una donna libera, più di tanti uomini che conosco, e non aveva protettori. Fu lei a chiedermi di non andare più a cercarla, credo che si sia trattato di un gesto materno.

 

Oggi si stanno aprendo nuovi luoghi per una prostituzione diversa, le ragazze si concedono e vengono ripagate con carriere politiche e televisive, i casini hanno cambiato aspetto e sembrano (sembrano) ville signorili con piscina. Posso sbagliare, quando i ricordi sono tanto sbiaditi è sempre possibile che la retorica li insudici un po’, ma sono convinto che la Triestina non ci sarebbe andata.

 

Ultima annotazione. Si parla della prostituzione come del più antico mestiere del mondo. Non sono d’accordo. Se ha ragione la Bibbia nello stabilire l’ordine delle cose create, il primo mestiere è quello del cliente.

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