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I giorni del contagio, i giorni dopo il contagio. “La peste” di Albert Camus

Di |2020-09-11T15:17:23+01:0028 Febbraio 2020|Open space|

Libri usati

O che si dovrebbero usare. Brevi passi da sottolineare, a volte da percorrere.

Sul principio gli uomini avevano accettato di essere isolati dall’esterno come avrebbero accettato una qualunque temporanea noia che non disturbasse se non alcune delle loro abitudini. Ma fatti coscienti all’improvviso di una sorta di sequestro, sotto il coperchio del cielo dove cominciava a lievitare l’estate, sentivano confusamente che la reclusione minacciava tutta la loro vita, e venuta la sera, l’energia che ritrovavano con la frescura li spingeva talvolta ad atti disperati.

Prima di tutto, che sia stato o no per effetto di una coincidenza, a cominciare da quella settimana, vi fu nella nostra città una paura così generale e profonda da far supporre che i nostri concittadini cominciassero davvero ad aver coscienza della loro situazione. Da questo punto di vista, l’aria della città si modificò; ma in verità la questione è se il mutamento fosse nell’aria o nei cuori.

(…)

Tutta la città si gettò fuori per festeggiare il minuto di oppressione in cui il tempo delle sofferenze finiva e il tempo dell’oblio non era ancora incominciato.

Si ballava in tutte le piazze. Da un giorno all’altro la circolazione era aumentata considerevolmente e le automobili, diventate più numerose, procedevano con difficoltà nelle strade affollate. Le campane della città suonarono a distesa per tutto il pomeriggio, colmando di vibrazioni un cielo azzurro e dorato. Nelle chiese, infatti, si celebravano funzioni di ringraziamento. Ma i tanti locali di svago erano pieni fino a schiantare, e i caffè, senza curarsi del futuro, distribuivano i loro ultimi liquori. Davanti ai banchi si stipava una folla di persone similmente eccitata e, tra esse, numerose coppie abbracciate, che non temevano di dar spettacolo. Tutti gridavano e ridevano. La provvista di vita che avevano fatto durante i mesi in cui ciascuno aveva fatto dell’animo suo una sentinella, la spendevano in quel giorno, che era quasi il giorno della loro sopravvivenza. Il giorno dopo sarebbe cominciata la vita stessa, con le sue precauzioni; per il momento, persone d’origine assai diversa si affiancavano fraternizzando. L’eguaglianza che la presenza della morte non era riuscita a realizzare, la gioia della liberazione la stabiliva, almeno per alcune ore.

 

Albert Camus

Da “La peste”

Recensione del film “1917”

Di |2020-09-11T15:17:23+01:0028 Febbraio 2020|Il Nuovo Giudizio Universale|

A un certo punto il film western abbandonò l’epopea della Conquista e prese a rappresentare l’orgogliosa resistenza dei vinti e il fascino crepuscolare del tramonto dell’epoca. La svolta dei film di guerra è la focalizzazione sulla sopravvivenza come unica vera forma di eroismo e sulla missione che non serve tanto a vincere quanto a tirare qualcuno fuori dalla guerra, oppure a contenere le perdite. Così 1917 si pone nella scia di Salvate il soldato Ryan e Dunkirk, (altro…)

L’amuchina, le mascherine e i prezzi d’occasione. Ma non è dalle emergenze che nasce la speculazione.

Di |2020-09-11T15:17:23+01:0028 Febbraio 2020|10, Limite di velocità|

Siamo onesti. Quanti prima d’ora possedevano una boccetta d’amuchina nella borsa? Ma nel miracoloso mondo delle merci prima o poi arriva per tutte il momento di gloria. (altro…)

La società signorile di massa, una dubbia eccezione italiana

Di |2020-09-11T15:17:23+01:0014 Febbraio 2020|10, Limite di velocità|

Signori si nasce. E io lo nacqui.

Sarebbe potuta cominciare con questa citazione di Totò il saggio di Luca Ricolfi, La società signorile di massa, pubblicato da La Nave di Teseo, che da qualche mese spopola nelle librerie. (altro…)

Come gli oggetti trasformano gli uomini di Theodor W. Adorno, da “Minima moralia”

Di |2020-09-11T15:17:23+01:0014 Febbraio 2020|Open space|

Libri usati

O che si dovrebbero usare. Brevi passi da sottolineare, a volte da percorrere.

La tecnicizzazione – almeno per ora – rende le mosse brutali e precise, e così anche gli uomini. Elimina dai gesti ogni esitazione, ogni prudenza, ogni garbo. Li sottopone alle esigenze spietate, vorrei dire astoriche, delle cose. Così si disimpara a chiudere piano, con cautela e pur saldamente una porta. Quelle delle auto e dei frigidaire vanno sbattute con forza, altre hanno la tendenza a scattare da sole e inducono chi entra alla villania di non guardare dietro di sé, di non custodire l’interno che l’accoglie. Non si fa giustizia al nuovo tipo umano senza la coscienza di ciò che subisce continuamente, sin nelle fibre più riposte, dalle cose del mondo circostante. Che cosa significa per il soggetto che le finestre non hanno più battenti da aprire, ma lastre di vetro da far scorrere con violenza, che i pomi girevoli hanno preso il posto delle molli maniglie, che non ci sono più vestiboli, soglie verso la strada, mura intorno al giardino? Quale chaffeur non sarebbe indotto, dalla forza stessa del suo motore, a filare a rischio e pericolo delle formiche per strada, passanti, bambini e ciclisti? Nei movimenti che le macchine esigono da coloro che le adoperano c’è già tutta la violenza, la brutalità, la continuità a scatti dei misfatti fascisti. Tra le cause del deperimento dell’esperienza c’è, non ultimo, il fatto che le cose, sottoposte alla legge della loro pura funzionalità, assumono una forma che riduce il contatto con esse alla pura manipolazione, senza tollerare quel surplus – sia in libertà del contegno che in indipendenza della cosa – che sopravvive come nocciolo dell’esperienza perché non è consumato dall’istante dell’azione.

 

Theodor W. Adorno

1951

Di |2020-09-11T15:17:23+01:007 Febbraio 2020|1, Stretti e contraddetti|

Gli anziani si avvinghiano alla parola quanto più si rendono conto che il loro potere di modifica sul mondo esterno si restringe. Bisogna approfittare, e tacere, quando si è ancora abbastanza pieni di vigore per farlo.

Rabbia, violenza, emozioni di Hannah Arendt

Di |2020-09-11T15:17:23+01:007 Febbraio 2020|Open space|

Libri usati

O che si dovrebbero usare. Brevi passi da sottolineare, a volte da percorrere.

Che la violenza derivi spesso dalla rabbia è un luogo comune, e la rabbia può in effetti essere irrazionale e patologica, ma né più né meno delle altre manifestazioni dell’animo umano. È senz’altro possibile creare condizioni nelle quali gli uomini siano disumanizzati – come i campi di concentramento, la tortura, la carestia – ma in queste condizioni, non la rabbia e la violenza, ma la loro notevole assenza è il più chiaro segno di disumanizzazione. La rabbia non è affatto una reazione automatica alla miseria e alla sofferenza in quanto tali; nessuno reagisce con rabbia a una malattia incurabile o a un terremoto o, se vogliamo, alle condizioni sociali che sembrano immutabili. Soltanto dove c’è ragione di sospettare che le condizioni potrebbero cambiare e non cambiano scatta la rabbia. Soltanto quando il nostro senso della giustizia è offeso reagiamo con rabbia, e questa reazione non riflette necessariamente un’offesa personale, com’è dimostrato da tutta la storia della rivoluzione, in cui alcuni membri delle classi superiori hanno avviato e poi guidato le rivolte dei derelitti e degli oppressi. Far ricorso alla violenza quando ci si trova di fronte a situazioni o avvenimenti atroci è una grossa tentazione a causa della sua tipica immediatezza e rapidità. Agire con deliberata rapidità non è tipico della rabbia e della violenza. Al contrario nella vita privata come in quella pubblica ci sono situazioni in cui la semplice rapidità di un atto violento può essere l’unico rimedio appropriato. Il punto non è che questo ci permette di scaricare la tensione, il che in effetti può essere fatto altrettanto bene dando un pugno sul tavolo o sbattendo la porta. È che in certe circostanze la violenza – agire senza discutere né parlare e senza pensare alle conseguenze – è l’unico modo di rimettere a posto la bilancia della giustizia. In questo senso, la rabbia, e la violenza che a volte – non sempre – l’accompagna, appartengono alle “naturali” emozioni umane, e curare l’uomo da esse vorrebbe soltanto dire disumanizzarlo o evirarlo. (…) L’assenza di emozioni non causa né promuove la razionalità. Il distacco e l’equanimità di fronte a una tragedia insopportabile possono in effetti essere terribili, specialmente quando non sono il risultato di un controllo ma un’evidente manifestazione di incomprensione. Per poter reagire in modo ragionevole si deve prima di tutto essere “commossi”, e l’opposto di emozionale non è il “razionale” ma l’incapacità a lasciarsi commuovere, in genere un fenomeno patologico, o il sentimentalismo che è una perversione del sentimento. La rabbia e la violenza diventano irrazionali solo quando sono dirette contro dei sostituti, il che corrisponde purtroppo a certi umori e atteggiamenti poco meditati della società nel suo complesso.

Un’esperienza sui commenti che imbrattano facebook. Cosa ne penserebbero i nostri figli?

Di |2021-01-02T08:18:43+01:007 Febbraio 2020|9, Web philosophy|

I ragazzi in Italia stanno massicciamente abbandonando Facebook. Ci sono molti motivi. Ma se fosse anche perché si vergognano dei loro genitori? (altro…)

Recensione del film “Hammamet”

Di |2020-09-11T15:17:23+01:006 Febbraio 2020|Il Nuovo Giudizio Universale|

Chi ha meno di quarant’anni, ed era dunque un ragazzo quando scoppiò lo scandalo di Tangentopoli, potrebbe avere desiderio di comprendere in cosa veramente consistette l’essenza della cosiddetta Prima Repubblica, e quale giudizio storico si possa azzardare dell’uomo  che ne riassunse uno dei momenti di massima espansione e poi ne simboleggiò la rovinosa fine, Bettino Craxi. (altro…)

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