Recensione del film “Il ladro di giorni”

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Il road-movie si sta arricchendo di vari sottogeneri, uno dei quali potremmo definire man-and-child-road-movie. Nel caso del Ladro di giorni l’adulto in questione non è un estraneo (come ne Il ladro di bambini o In viaggio con Yao) ma il padre Vincenzo – e questo introdurrebbe un altro genere assai in voga, l’esplorazione della paternità solitaria – solo che per il piccolo Salvo è quasi un estraneo, perché un brutto giorno di sette anni prima, quando lui aveva solo cinque anni, Vincenzo lo ha abbandonato mentre erano al mare e il figlio ne è rimasto talmente traumatizzato da accogliere assai male il suo ripresentarsi presso la casa degli zii, con cui Salvo vive, per passarci qualche giorno insieme. Per la verità, il padre non aveva poi tutte le colpe perché a traslarlo dalla spiaggia era stata la polizia venuta ad arrestarlo, e Salvo sapeva del resto che lui era finito in galera. Ma non è che il padre ora sia venuto a raccattare il figlio per nostalgia genitoriale: deve consegnare un “carico” e ha pensato che per non farsi fermare dalla polizia un bambino vale più di una pistola. Oltre tutto la combinazione “carico di droga da consegnare – controllo della polizia – reazione con arma da fuoco” gli evoca brutti ricordi perché è alla base del suo arresto, insieme a tre complici (e quindi ecco il crime, e vai con l’intreccio di generi mainstream!). Vincenzo, peraltro, ha metabolizzato diversamente la responsabilità dell’arresto: la colpa è tutta del “professore”, un povero vecchio pittore ed insegnante d’arte in pensione, imbranato e viscido, utilizzato e angariato da lui e dai suoi sodali (uno è Massimo Popolizio) che – Vincenzo proprio non capisce perché – li ha in qualche modo denunciati. E così fra le attività del viaggio con Salvo – che il caso vuole dipanato attraverso i luoghi di gradimento della Film Commission – aggiunge la ricerca del “ladro di giorni” come Salvo lo definisce, quando il padre gli spiega che hanno perso un sacco di tempo insieme perché un fetente lo ha denunciato.

 

Nonostante l’alternanza del presente con il flashback dell’azione criminosa precedente e le varie corsie laterali della storia criminale, la trama del film si snoda intorno al rapporto tra Vincenzo e Salvo e, senza sorprese, dall’avvicinamento difficoltoso e sofferto alla ricerca di complicità. Quel che accade intorno è cinematograficamente desolante: inquadratura e montaggio assai piatti, accompagnamento musicale da dimenticare (anzi già dimenticato), sceneggiatura inverosimile e sconclusionata, caratterizzazione psicologica dei personaggi secondari (cioè, tutti tranne Salvo e Vincenzo) disastrosa con punte di stereotipizzazione inaccettabile (del tipo che tutti i tedeschi e gli austriaci pensano ke gli italiani manciano spaketti, e parlano con quella voce lì), e poca fantasia nell’innesco delle svolte narrative avviate tutte dalla spinta di Salvo che disubbidisce ed esce dalla macchina, e quando è per fare pipì se la fa sempre addosso perché arriva qualcuno. Mettiamoci pure che il finale è kitsch-melò a cinquanta carati, cosa rimane, visto che lo stesso sviluppo del rapporto tra Vincenzo e Salvo è prevedibile?

 

Rimane un dettaglio non da poco, se non per la qualità assoluta del film certamente per la godibilità dello spettatore. C’è una frizione originale tra il ruolo potenzialmente redentivo di Salvo e la pedagogia delinquenziale che con naturale inconsapevolezza Vincenzo impartisce al figlio. Su questa base, anche se i dialoghi non sono scoppiettanti, l’ottima prova di Riccardo Scamarcio e ancor più del giovanissimo Augusto Zazzaro crea nella complicità degli sguardi un’emozionante elettricità, specie nei passaggi in cui il registro vira verso il comico e la dolcezza non viene oppressa dal carico melodrammatico. Probabilmente, se il regista Gianni Lombardi avesse scelto quel registro per tutto il film, ne sarebbe venuta fuori una commedia più che onesta, impreziosita dalla bravura dei due interpreti e dalla magica corrente relazionale che sono riusciti a creare: e che alla fine comunque un po’, pur da sola, tiene in piedi la baracca e regala qualche momento persino commovente.

 

Il ladro di giorni

Guido Lombardi

Votazione finale

I giudizi

soli_4
Perfetto


Alla grande


Merita


Niente male


Né infamia né lode


Anche no


Da dimenticare


Terrificante

ombrelli_4
Si salvi chi può

Di |2021-01-02T08:01:24+01:0031 Luglio 2020|Il Nuovo Giudizio Universale|

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