Un’esperienza sui commenti che imbrattano facebook. Cosa ne penserebbero i nostri figli?

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I ragazzi in Italia stanno massicciamente abbandonando Facebook. Ci sono molti motivi. Ma se fosse anche perché si vergognano dei loro genitori?

 

Prendiamo i commenti ai post di contenuto politico. Si parla spesso di alcune pagine, come quelle riconducibili a  Salvini o- soprattutto in passato- ai 5 Stelle, stigmatizzando le folate di odio che da lì si sollevano e si dirigono sulle pagine e i profili degli odiati. Per quanto riprovevole, tuttavia, quello parrebbe pur sempre un meccanismo di causa ed effetto: un messaggio di partenza e una reazione al messaggio. Magari una reazione stereotipata, ma che conserva qualche rapporto con il contenuto del messaggio.

 

Ho però avuto la prova recente che il rapporto di causa ed effetto è molto meno strutturato. La reazione  non si riferisce al contenuto bensì a un soggetto, a un tema, a una parola. Non è vero che le immagini abbiano scalzato le parole su Facebook. E’ vero (ed è anche peggio) che i commenti vengono inseriti sempre e solo come se si fosse vista un’immagine. Anche se c’è un testo.

 

Il tuo post sta avendo successo. Fai in modo che raggiunga più persone, mi scrive Facebook.

Ecco un paio di parametri del successo, dal punto di vista di Facebook.

In linea di massima non uso Facebook. Ci entro per studiarlo, come fenomeno, e lo utilizzo per promuovere gli articoli del Wrog. Lo utilizzo come un ponte, perché il post non viene mai creato solo per vivere su Facebook (e l’algoritmo non ne è contento, e per questo ne limita un po’ le visualizzazioni). C’è una foto, corrispondente a quella dell’articolo, un titolo (anche quello uguale al titolo dell’articolo) l’inizio e il link all’articolo.

Due settimane fa ho scritto un articolo sulle Sardine, intitolato “Cosa possono fare le Sardine per l’Italia” nel quale ho avanzato una proposta su quale forma potrebbe assumere il seguito di quei movimenti di piazza.

Lo hanno letto migliaia di persone, e quasi duemila di queste sono provenute da Facebook, oltre il dieci per cento di quelle a cui è stato visualizzato. Questo è stato effettivamente un successo, dalla mia angolazione.

Facebook però ragiona in un modo diverso. A leggere sono buoni tutti, è come se pensasse l’algoritmo. Quel che conta è l’engagement, la partecipazione. Quindi il post è di successo quando ha il riscontro di like, condisioni e commenti.

Il post sulle Sardine ha ricevuto 140 commenti, che è già un numero dignitoso. Leggendoli però balza agli occhi un dato evidente: nessuno di quelli che commenta ha letto l’articolo. Non dico: non lo ha compreso. Proprio non gli è interessato cliccare sulla foto o sull’inizio del testo sospeso, o peggio non ha capito che esisteva il testo. Ovviamente in questo non c’è nulla di male. Ma perché commentare?

Ho pensato allora, questa settimana, di inviare un messaggio ai commentatori. Per selezionarli ho fatto una visita ai profili, volendo evitare- per assenza di utilità scientifica– i casi sospetti di sconfinamento nella patologia clinica o quelli di persone più fragili, che non avevo voglia di turbare con questo insolito sconfinamento. Purtroppo le due categorie (devo dire specialmente la seconda, quella della manifesta fragilità) si sono rivelate dominanti. L’eccesso verbale pare lì il contrappeso di un’esistenza declinante o irrisolta che si accende nel brivido dell’insulto all’antagonista. Lo scontro verbale non è un incidente ma è caparbiamente cercato come rilassamento delle tensioni.

La cosa spassosa è che queste persone non se la prendevano con me, l’autore del post. Cosa poteva importargliene, non avendolo letto? Venivano a bisticciare tra loro sulla mia pagina. Temendo che l’andamento dei commenti desse un’impressione sbagliata a qualche lettore dell’articolo che aveva pensato di lasciare la sua opinione ho aggiunto un mio commento chiarificatore.

E’ cambiato niente.

Torniamo ai commentatori cui ho deciso di chiedere conto. Alla fine, con fatica, ne ho ripescati otto che mi sembravano quanto meno in grado di capire quello che scrivevo. Non che avessero dato una grande prova, le loro uscite erano di questo tipo

Comunque ho mandato loro questo messaggio, uguale per tutti salvo nome e cognome, ovviamente

La mia illusione di avviare uno scambio-intervista è naufragata. Sei sono fuggiti alla domanda. Non è che uno sia obbligato. Però mi pare strano che hai voglia di infilare un commento balordo sotto un post che non hai letto e non ti viene voglia di rispondere a un messaggio specificamente indirizzato a te dalla persona che aveva messo il post. Non almeno se non ti hanno hackerato il profilo.

Uno degli otto, Paul Blueden risponde al primo messaggio, spiegandomi che lo fa “per educazione” e che però detesta questo meccanismo dell’algoritmo di Facebook che gli  fa comparire cose e soggetti che detesta (come le Sardine) e che lui considera come spam. Eppure aveva approfittato dell’occasione del mio post per una terribile filippica sulla “sinistra che si occupa solo di migranti e diritti di gay/lesbiche” e “sulla larga parte di popolo me compreso che si è rotta le palle di farsi umiliare dall rackete di turno e si sente straniera a casa propria”. Così, dopo la sua risposta, ho insistito

Sparito pure lui. Forse gli ho rivelato come sia esatto comportarsi verso lo spam

Solo una persona fra gli interpellati, ha il coraggio, la cortesia e lo spirito di confronto per stare al gioco.

In origine era intervenuta così

Dopo il mio messaggio non è uno scambio tutto liscio, lei fa resistenza ad ammettere che non ha letto il post nella sua interezza, a un certo punto- ribattendo a una mia osservazione su come i social non vanno usati- mi chiede se secondo me vanno usati per crocifiggere un vigile che ha commesso un abuso, pur riprovevole, inducendolo a suicidarsi (evidentemente no, non vanno usati in quel modo). Però tiene fino in fondo, con gentilezza, con un senso dell’umorismo schietto che nella pressione della tenzone social non era riuscita a tirare fuori. Non riesco a strapparle un’abiura (ma mica volevo quello) né a convincerla fino in fondo che la posta in gioco nel nostro discorso non sono le Sardine. Però, vivaddio, arriva finalmente il commento all’articolo (misurato ma anche critico: e ne sono lieto, perché ne conferma la sincerità). Tale è stato il divario fra la sua disponibilità e l’eclissi degli altri che non me la sono sentita di appesantirla delle altre domande che avrei voluto sviluppare nell’insieme delle micro-interviste.

 

Prima della domanda che tenevo più a cuore, proviamo a tirare le somme da questa piccola esperienza, che declina e precisa empiricamente quel che già diverse volte ho affrontato sul piano teorico.

La prima conclusione è che Facebook- torno a quel che anticipavo all’inizio- è ormai un luogo per far circolare immagini; e siccome però è un ibrido (perché viene trattato come immagine anche il testo, fermandosi alla foto che lo accompagna o al suo titolo) è destinato a soccombere, nella prospettiva delle nuove generazioni, rispetto ai social che veicolano effettivamente immagini, e hanno un’infrastruttura strutturata più coerentemente per questo.

La seconda è che leggere e commentare, per una percentuale molto elevata di utenti di Facebook, sono attività fra loro incompatibili. In una situazione come quella descritta, ovvero un’atipicità (post che prosegue all’esterno di Facebook, con un testo lungo quanto l’articolo di un giornale cartaceo), il dato si rivela platealmente. Ma anche sui post più brevi i commenti mostrano come, nella migliore delle ipotesi, la reazione preceda la lettura e poi la orienti. Uno stimolo molto banale richiama un oggetto, che è già stato investito emotivamente in altre circostanze, e suscita il reiterarsi della stessa emozione.

 

La terza- sto procedendo secondo una catena consequenziale- è che  l’engagement sui social viene spesso sopravvalutato: è un errore che sta creando una vera e propria “bolla” anche nel marketing e nella comunicazione d’impresa. All’azienda può fare gola che il soggetto sia “automatizzato”, confidando che il meccanismo stimolo/reazione, trasferito nella comunicazione con l’impresa, sia un buon propulsore all’acquisto. Ma il soggetto considerato partecipante (perché mette like o commenta) in realtà è autocentrato e passivo. Per la partecipazione democratica, poi, è completamente perso. La sfegatata virulenza nel proclamare la fede di parte (o dichiarare poco credibilmente la propria obiettività) è un gioco di simulazione (benché abbia poi un riflesso reale nella cabina elettorale).

 

Arrivo ora alla domanda che avrei voluto porre per ultima, se si fossero sviluppate le interviste.

Dimentichi un attimo il suo commento, guardi quelli degli altri. Giudichi se hanno qualche attinenza con quello che in teoria dovrebbero commentare. Si chieda se hanno una qualunque utilità per il prossimo o se esprimono una qualche forma di afflato relazionale.

Adesso si immagini che queste persone abbiano un figlio, al quale- come genitori- dovrebbero insegnare che valore hanno il rispetto per gli altri, il ragionamento, l’equilibrio, la comprensione di un testo. Certo, se fosse un bambino di quattro anni potrebbe ridere di una battuta come “le sardine? In padella!”. Potrebbe anche farla lui. A quattro anni però. Se già ne avesse undici forse i genitori non sarebbero tanto contenti se quello fosse il miglior livello con cui riesce ad approcciare una discussione.

Ecco, se il figlio leggesse con attenzione tutto, non si vergognerebbe un po’ del suo genitore? E, domanda finale, se legge di nuovo il suo commento, per quanto possa essere stato meno triviale di altri o forse persino relativamente pacato: lei pensa che sia stato all’altezza di suo figlio? Di come lei vorrebbe che lui fosse?

 

Secondo me essere all’altezza dell’opinione che i figli possono farsi di noi dovrebbe essere un parametro di azione significativo.

Certe cose possono essere anche prese sul ridere. Guardo questa pagina e mi pare che i commenti, trascinati fuori dall’infrastruttura che li ospita e dentro la quale riescono ormai a essere normali, faccia veramente un effetto surreale.

Forse in calce alla pagina, ai suoi imbrattatori, sì, ci starebbe bene il commento

Però mi rimane la curiosità del commento che lascerebbero i figli degli imbrattatori.

Di |2021-01-02T08:18:43+01:007 Febbraio 2020|9, Web philosophy|

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