
“Pe’ sfregio” (con la variante “a sfregio” e la commistione sonora con “spregio”) è un’espressione napoletana, stranamente non riportata dai dizionari dialettali, che talora risponde alla domanda: perché hai fatto quest’azione? E vuol dire: per dispetto, per mostrare sprezzo per l’altro o propria superiorità morale, o ancora per evidenziare che si è stufi di un certo tran tran, e ci si propone di smantellarlo esibendo l’opposto. E così, dato che la rappresentazione mainstream di Napoli (un mainstream che in verità data di qualche secolo) è tutta colore, dismisura, esuberanza, frastuono, passione, cartolina, mare, crimine, folklore, struggimento e perennità – e sole, ovviamente, sole!- un regista che in questo film la veste di un bianco e nero cinerino, di rado infila tre persone nella scena e due nell’inquadratura, si focalizza sulla meno turistica area vesuviana, indugia su vagoni vuoti di metropolitana, al sole predilige i vapori solforosi e il loro effetto nebbioso – un regista che così tanto perverte l’immaginario partenopeo, al “perché?” ben potrebbe rispondere seccamente “Pe’ sfregio” (o “a sfregio” ). Se però si tratta di Francesco Rosi, il capovolgimento appare coerente con la sua storia, la sua evoluzione, la sua attitudine a racimolare senso negli interstizi, nei margini della Storia e delle storie, nella testimonianza muta degli oggetti.
Vincitore del Premio della Critica al Festival di Venezia, Sotto le nuvole (subito in avvio al film leggiamo l’incipit “Il Vesuvio fabbrica tutte le nuvole del mondo” di Jean Cocteau) non ha un centro focale, se non alcuni concetti filosofici (la precarietà dell’essere, il legame pulsante fra il passato e il presente) e lo sfondo (la città di Napoli che in un’intervista Rosi ha definito un “immenso fuoricampo”). Rimbalzano, senza incontrarsi reciprocamente, alcune microstorie: le predazioni che i tombaroli compiono nella stanze romane scavando per anni cunicoli ove si rannicchiano come topi; il centralino dei pompieri inondato da richieste: di soccorso fuori competenza, di predizioni sismografiche o persino dell’ora corrente; i locali sotterranei del Museo Archeologico in cui giacciono alla rinfusa busti e altri reperti dell’antichità; gli scavi di ville vesuviane condotti da scienziati giapponesi; le lezioni di recupero che un anziano e volenteroso erudito (Titti) impartisce agli studenti del quartiere, dentro un locale che fu anche un bar; un marinaio siriano su una nave ucraina carica di grano attraccata nel porto (con la bonus track del film Viaggio in Italia di Rossellini, proiettata in una sala cinematografica vuota).
Credo che questo mio sommario contribuisca a prevenire il non provetto cinefilo che volesse avventurarsi alla cieca nella sala, condannato perciò a seguire la china dei non pochissimi che nel corso della proiezione cui ho assistito hanno abbandonato anzitempo la poltrona. Si tratta di un film esigente e selettivo, e la frase ricorrente che “sarebbe riduttivo definirlo un documentario” è riduttiva a sua volta. Sotto le nuvole in effetti non informa: evoca, astrattizza, stimola. Nessuna storia arriva veramente a superficie dalla sotterraneità in cui è ambientata. L’opera di Rosi sempre più si approssima a un’arte visuale poetica, riepilogativa e stilizzante che personalmente apparenterei nello spirito alla fotografia di Ghirri. Non tutto però, in Sotto le nuvole va a buon esito sul piano dell’equilibrio. In particolare, mai nella storia del cinema avevo sentito gli attori non professionisti recitare in modo tanto nefasto e insopportabile (una menzione speciale alla conservatrice, o quel che è, del Museo Archeologico) con il risultato di perdere sia la spontaneità del documentario che la credibilità della fiction. Inoltre, la radicale frammentazione e l’insistita fissità della camera e dei movimenti al suo interno alla lunga producono diversi squilibri di tempo e di ritmo. Deve essersene reso conto anche Rosi che per frenare lo smottamento accentua il carattere macchiettistico di certe telefonate al centralino, e nell’ultima infila quella di una donna alle prese con la violenza coniugale, che col resto non c’entra davvero nulla e risulta mortificata e declassata a espediente per scuotere l’attenzione a rischio di caduta.
Sotto le nuvole
Due soli

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