Caduta massì

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Chissà chi è l’inetto, l’imbecille
che nella notte ci sostituisce
lo scendiletto kilim
con ghiaccio e suole lisce.
Che tende funi fuori sul percorso
e disallinea biglie di traverso
sul pavimento di linoleum,

spande l’olio di prima spremitura
appena prima del tornante cieco
o il crepaccio camuffa nel trompe-l’oeil.
Quello stesso che spacca i sampietrini
scava buche ben oltre le diciotto
del golfista, e soprattutto le scava
sulla pista, o sputa aghi di pino
sul terroso sdrucciolio.
Annoda il filo dell’equilibrista,
sega le altalene,
s’ingozza di banane per l’astuzia
d’insozzare le scale con la buccia,
spinge stormi di piccioni nei motori
ad alta quota, unge la ruota
della bici, custodisce sapone
nelle tasche, all’occasione.
Ma cadere è una forma di sapienza
da praticarsi in proprio,
astinenza dall’impostura eretta,
abbandonarsi al vuoto
con la risata invece del satori.
Non delude l’attesa
l’invocata torsione.

Di |2020-09-11T15:17:28+01:0018 Ottobre 2019|Versi, versi pure|

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