Facciamolo strano? Le bambole robot frigide e lo stupro virtuale

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Quando approveranno il testamento biologico mi piacerebbe lasciare la seguente indicazione di volontà: “Abbattetemi immediatamente qualora sia entrato in uno stadio di morte cerebrale o anche nel caso che chieda di portarmi a letto una bambola-robot”. Però è una prospettiva personale,

visto che secondo un’indagine dell’Università di Sheffield il 40% degli uomini (sembra un riscontro eccessivo, ma analoghe indagini parlano di un rispettabile 11%) sarebbe disposto, se non altro in mancanza di alternative più in carne, a fare sesso con una bambola robotica.

Ad onta del fatto che a vederla in foto la somiglianza umana (che dal punto di vista tattile è perfezionata ogni anno di più) crei a mio parere un sentimento “perturbante”, nell’accezione che accosta il termine a repellente.

Il tema, niente affatto nuovo stante che alcune aziende operano nel settore dal 2010, si è riaffacciato prepotentemente alla ribalta con un articolo apparso sull’International New York Times del 18 luglio, a firma Laura Bates, fondatrice di “Everiday Sexism Project”, un sito web di militanza femminista. L’articolo si apriva focalizzando l’attenzione su un modello della True Companion, Frigid Farrha che “non apprezza quando è toccata nella sua area privata”. In sostanza, ne deduce correttamente la Bates, una concessione al piacere dello stupro che pure, oppone lei, “non è un atto di passione sessuale ma un crimine violento”. Perché mai, si domanda, sono vietate le simulazioni di sesso sui bambini e non quelle che riproducono virtualmente sesso non consenziente, dato che si tratta di reato in entrambi i casi?

 

Le teorizzazioni difensive della True Companion sono piuttosto bizzarre. “ Non si tratta di qualcuno. Si tratta di una macchina. Forse è eticamente discutibile che io costringa il tostapane a farmi il toast?”. E anche: “Se le donne possono avere un vibratore, perché gli uomini non possono avere una Roxxxy?” (la bambola robotica). Nel giorno seguente all’offensiva della Bates la True Companion ha dato una ripulita alle sue argomentazioni e sul proprio sito si è proclamata d’accordo con la Bates sull’avversione all’abuso del corpo femminile, sostenendo che Frigid Farrah è una personalità come un’altra (in effetti ce n’è un campionario articolato) che restituisce un feedback ed educa all’intimità con le persone reali.

I sex robots hanno suscitato le critiche della Fondazione per la Responsabilità Robotica. Di certo, l’asticella viene costantemente spostata verso l’alto. Non solo i sex robots moltiplicano le funzioni (parlano, succhiano, flirtano, si riscaldano per il contatto) ma possono essere prodotti a immagine e somiglianza della donna desiderata. L’anno scorso un’azienda di Hong Kong ha creato una versione robotica di Scarlett Johansson, e ne ha patito conseguenze legali. La società RealDoll, la principale concorrente di True Companion in un giro d’affari che vale circa 10.000 euro a pezzo, precisa che non è possibile replicare roboticamente donne senza il loro consenso, però offre la possibilità di inviare foto di una persona di propria conoscenza o scelta per selezionare, con qualche correttivo, la bambola all’interno delle sedici versioni standard.

 

 

Al fondo di questi dibattiti riemerge, anche esplicitamente, un’antica discussione: l’esercizio della fantasia criminale produce l’effetto catartico di allontanare dal crimine oppure anestetizza la sensibilità che lo impedisce? Ma la querelle sui film di violenza è stata ampiamente resa obsoleta da videogiochi che contemplano anche la possibilità di fare secca una prostituta e abbandonarla in una macchina prima di proseguire la serata.

C’è però una preoccupante progressione nel realismo della bambola e nel suo carattere più o meno dichiarato di surrogato, che ad esempio rende alcune versioni geisha popolari in Giappone perché dissuadono i mariti in viaggio di lavoro dal cercare passatempi più concorrenziali per le mogli (lo avreste mai detto che anche il mestiere più antico del mondo fosse minacciato dall’automazione?). O nel toccare effettivamente una macchina che è stata programmata per trasmettere il messaggio: “mi da fastidio che tu mi tocchi”. Non è mai venuto in testa a nessuno di progettare un tostapane che reagisse al rialzo della temperatura gridando: “Cazzo, lo capisci che mi stai bruciando?”, e che questo gioco rendesse più saporito il toast. Perché non gratificare i razzisti con uno schiavo nero (anzi, negro) che li chiama “badrone” o i nostalgici del Terzo Reich con un piccolo campo di concentramento? Capisco che la Bates ponga il problema da una prospettiva femminista, e si allarmi della facile equazione donna/oggetto che i sex robots tendono ad avvalorare, ma il dilemma etico è più ampio e riguarda la concessione di margini di libertà di infierire sulle macchine quando il loro scopo è la pura simulazione dell’umano.

 

Non si tratta di rifiutare la robotica ma al contrario di considerarla un’ipotesi plausibile in un ecosistema che metta in contatto uomini e macchine, inevitabilmente riverberando sui rapporto intraumani un riflesso delle relazioni extraumane. Abbiamo già degli spiacevoli riscontri su come la consuetudine a filtrare l’altro attraverso un dispositivo lo faccia percepire come parte del dispositivo, e induca ad atteggiamenti di irrispetto o distanza. La conclusione non può che essere un aggiornamento del precetto evangelico: “Non fare alle macchine- che imitano gli umani- quello che gli umani non accetterebbero tu facessi loro”. Ma siccome già i precetti evangelici e quelli kantiani hanno goduto più successo nella teoria che nella pratica, puramente e semplicemente vietare che ciò accada. O, in alternativa, rendere giocosamente incerta la buona disposizione del robot e includere obbligatoriamente un’opzione che preveda la sua reazione con una testata in bocca.

 

Foto del digital artist Michael O

Di |2020-09-11T15:16:40+01:0021 Luglio 2017|Web philosophy|

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