Occupato

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I vincitori del concorso di micro-narrativa

Presento qui i vincitori che ho scelto, insieme a una piccola giuria, del concorso “Occupato”, sponsorizzato dal mio romanzo Una gran e sostenuto dall’editore Morellini.

La richiesta era di partire dalla scena che si ripete milioni di volte al giorno in altrettanti bagni. Uno che bussa e l’altro risponde “Occupato”.

La proposta era di immaginare una situazione speciale, e non per forza un bagno, in un racconto di poche righe, nel quale dobbiamo saper chi bussa, chi risponde “occupato” e di che situazione si tratta.

Ringrazio intanto tutti i partecipanti, quasi cento, e mi complimento perché molti erano meritevoli del podio. Qualcuno ne è stato escluso perché ha sforato esageratamente rispetto allo spazio previsto.

Oltre ai tre vincitori, pubblico un racconto insignito di “menzione speciale” perché il dettaglio formale della scena era un po’ troppo forzato ma l’idea veramente deliziosa.

Ecco di seguito i racconti premiati

Primo posto

Evelina Proli

La stanza vuota

Il colpo sulla porta rimbalzò sulle pareti di mattonelle bianche e spense il vorticare nebuloso di pensieri nella mia testa.
«Occupato!» risposi tirando fuori la voce a fatica.
Bussarono di nuovo.
«Occupato!» urlai e sentii ogni lettera di quella parola graffiare la gola e bruciarmi nel petto.
«Fra… è tutto ok?»
Non risposi. La parola occupato continuava a vibrare tra le labbra e invadeva la mia mente.
Premetti la mano sul ventre per alleviare il morso che lo attanagliava.
La lasciai lì anche quando il dolore allentò la presa.
Speravo di sentire sotto il palmo, i piccoli movimenti rapidi dei tuoi piedini che spingevano contro la parete. Due piccoli bottoncini che avevano bussato al mio utero, dandomi la prova della tua presenza.
L’odore acre di urina rancida e disinfettante penetrò nelle narici e spazzò via la dolcezza del tuo ricordo.
Passai la mano sul viso bagnato da lacrime che non volevano abbandonare la loro corsa. Un’altra morsa all’addome piegò il mio corpo come un ramo sferzato da un vento invernale.
Scansai i capelli appiccicati al sudore freddo della fronte mentre la parola occupato continuava a farsi spazio fino a irrompere nella sua grande falsità.
Il mio corpo era vuoto, io ero vuota. Un involucro che non serviva più a nulla; ancora una volta mi ero illusa che il mio corpo fosse in grado di generare una vita. Cinque mesi, il mio traguardo più lungo.
Sentii l’anima lacerarsi, frantumarsi in tanti piccoli brandelli che cadevano sul pavimento di quel bagno puzzolente.
«Fra, rispondi. Mi fai preoccupare!»
La voce di mia sorella Simona supplicava dietro la porta.
Avrei voluto gridarle di lasciami in pace, dirle che odiavo lei e il suo utero che era stato capace di dare alla luce due figli.
Avrei voluto urlare con tutta la voce che possedevo, che odiavo ogni donna che aveva partorito, ogni donna che poteva essere chiamata mamma, ma rimasi in silenzio, a cullare il dolore che aveva preso il tuo posto.

Secondo posto

Maura Hary

Rappresaglia

“Rappresaglia” da subito imparo il terribile significato di questa parola.
Dei graduati tedeschi sono stati uccisi in un agguato partigiano e adesso la sete di vendetta muove, spietati, i loro compagni.
Sono saliti in paese con la camionetta e hanno iniziato a sparare: alcuni sono riusciti a nascondersi in un fienile, io e altri sei siamo stati prelevati a forza dalle nostre abitazioni e deportati in città, in quella famigerata villa che è diventata il loro presidio.
Basta quel nome a far correre i brividi e le urla che si sentono provenire da là dentro raggelano. Per tutta la notte subiamo la crudeltà delle loro torture, al mattino ci fanno sfilare per le vie cittadine: i nostri volti tumefatti e i corpi martoriati devono essere un monito per tutti.
Alle 10, trascinandoci a fatica, raggiungiamo la piazza dove avrà luogo la fucilazione: riempio per l’ultima volta i miei occhi dell’azzurro del cielo dicembrino e al rintocco delle campane un pensiero va alla mia famiglia che non rivedrò più. In gola trattengo tutte le parole che avrei voluto ancora dirgli.
Chiudo gli occhi. Nelle orecchie gli spari e le urla dei miei compagni.
Sono morto, ma riesco ancora ad avvertire i rumori e una fitta al fianco.
È tutto strano: è forse così la vita nell’aldilà?
Apro gli occhi per un solo istante e mi rendo conto di essere vivo, ma il cadavere di un compagno mi ricopre.
Sento armeggiare una pistola, un’altra esplosione vicinissima e capisco: è il colpo di grazia che toccherà ad ognuno di noi.
Conto i colpi: sono sei, sono sicuro, ma noi siamo sette.
Non saprò mai se vengo risparmiato perché il mio volto insanguinato che si intravede sotto a un corpo inerte li convince della mia morte o perché davvero manchi il colpo destinato a me.
Non respiro, il mio corpo è marmo.
Li sento allontanarsi. Tutto attorno un silenzio di morte.
Muovo le gambe e premo una mano sul fianco ferito.
“Scappa, presto.”
Una voce sommessa di donna mi sfiora, raccolgo le energie e mi infilo dentro al primo cortile che trovo di fronte.
È un patio senza uscita.
Imbocco le scale e mentre salgo rapido i gradini, dalla piazza mi raggiungono concitate frasi in tedesco.
Qualcuno ha fatto la spia e a me non resta via di scampo.
In fondo al ballatoio vedo una porta, la raggiungo, apro: è una latrina.
Richiudo immediatamente e aspetto trattenendo il respiro.
Sento dei passi che si avvicinano, riconosco i tonfi implacabili degli stivali ferrati, quelli che nella notte non hanno avuto pietà dei nostri corpi.
Il terrore sta anestetizzando il mio fianco, quel rumore invece si fa assordante per le mie orecchie.
La maniglia si muove, ma l’ho bloccata dall’interno.
Picchiano sulla porta.
“Occupato” rispondo d’istinto, senza riflettere.
Silenzio.
I passi si allontanano.
Non so cosa abbia bloccato quel soldato.
Posso ascoltare altri rintocchi delle campane e fissare le nuvole che corrono nel terso cielo di dicembre.

Terzo posto

Carlo Fortina

Overbooking

“Occupato”. Rimango nudo fuori dalla porta dell’armadio e con quei due sul letto che ansimano furiosamente mentre si scambiano la pelle. Continuo a dar loro le spalle, sopraffatto dall’imbarazzo. Secondo me non è il modo corretto di organizzare la faccenda, non dovrebbero vendere più di un biglietto per la stessa copula. Per fortuna il tizio dentro si stufa prima che giungano all’orgasmo. Mi fiondo nell’armadio finalmente sgombro, chiudo le ante e posiziono l’occhio all’altezza del buco.

Menzione speciale per l’idea

Jessica Di Pasquantonio

Fotofinish

Pronti, partenza, via! Scattano tutti all’unisono, è buio, le condizioni atmosferiche non sono ottimali, anzi piuttosto inospitali. È una delle competizioni più agguerrite, forse la più affollata. Duecentocinquanta milioni di atleti liberati in un territorio nemico. Un unico obiettivo: arrivare fino alla fine, ma da soli e soprattutto con la predisposizione e la motivazione giuste. Nessuna medaglia. Il premio finale è qualcosa di ben più importante, ci si guadagna la vita. Molti non superano neanche la fase iniziale. Una valle di otto chilometri, con uno sentiero incidentato da attraversare, un percorso a ostacoli in cui la corsa è rallentata e faticosa, non sempre percorribile con agio. Gli sportivi in gara non nuotano, seguono invece la corrente e sospinti si dirigono verso il traguardo. Anche nel settore successivo una rigida selezione naturale decima gli aspiranti vincitori inattivi o meno efficienti degli altri. Chi trionferà?
È l’ambiente che li ospita a dialogare con loro, a decidere chi ha le carte in regola per proseguire, a valutare la compatibilità e innanzitutto se è il momento adatto per avere davvero un candidato vincente. Le capacità del singolo possono agevolare e migliorare la prestazione, ha la gloria chi si muove meglio, chi segue una linea uniforme. C’è chi tenta di sabotare i rivali come può.
I corridori avanzano, sono ammessi alla parte finale per lo scatto estremo, superano l’ingresso per l’ultima scalata. Entrano in gioco le indicazioni segnaletiche e luminose, il cammino è guidato, non possono sbagliare, il bersaglio inizia a comparire all’orizzonte. Dei milioni di partecipanti ora ne restano poco più che un centinaio. Volano verso il premio. Siamo al fotofinish. Chi verrà scelto? Non si tratta per forza del più veloce o del più prestante. Non è una maratona, né un gran premio. Loro non lo sanno, ma è forse più corretto definirla una lotteria in cui tutti i giocatori hanno un biglietto. Chi ha quello vincente, perché la sorte è dalla sua parte e perché si è conquistato un posto uscendo indenne da ogni prova, si porta a casa la vittoria. Anche S. P. è sfinito come gli altri che gli corrono intorno nello sprint conclusivo. Sono lì, manca pochissimo, si tuffa e… Occupato! Le porte si sono chiuse, è incredulo. Il concepimento è avvenuto, ma senza di lui. Si accascia e va via con la coda tra le gambe. L’ovulo è ormai inespugnabile. A lui non resta che l’oblio, insieme a tutti gli altri spermatozoi che non ce l’hanno fatta.

Di |2023-10-13T19:35:43+01:0013 Ottobre 2023|3, Limite di velocità|

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