Un po’ più a fondo sul 41 bis

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Volere il male di quelli che hanno provocato male è un istinto sociale, che per primo descrisse mirabilmente Adam Smith e del quale ora persino le neuroscienze sembrano dare conferma, e come punto di partenza lo considero un istinto sano.

Ma una comunità è tanto più civile quanto più le sue leggi sono migliori dei suoi istinti. Non per forza deve cancellarli, ma temperarli e raccordarli con alti principi di umanità. Per questo un discorso sul 41 bis deve prescindere dalla personale antipatia, o anche ripugnanza, che a ragione si nutrono verso certi atti criminali e verso chi li compie.

La normativa sul 41 bis, come regime di carcere differenziato, nacque con un ampio consenso delle forze politiche. Eppure, pochi anni prima quelle forze politiche si erano divise sulla permanenza dell’articolo 90, la norma sul carcere speciale, analoga al 41 bis, e che colpiva soprattutto i terroristi. Nel consenso, pertanto, si deve leggere non solo una cosciente presa d’atto del modo di operare dell’organizzazione mafiosa ma anche un elemento classista. Le condizioni disumane di detenzione, considerate intollerabili per gente di estrazione borghese (come molti terroristi) erano invece accettabili per i mafiosi (solo in seguito la disciplina del 41 bis è stata estesa a reati di matrice terroristica). In teoria, il 41 bis è pensato per ragioni di pura sicurezza: vanno interrotti i contatti con l’esterno da parte di chi può continuare a dare ordini dal carcere per commettere altri crimini. Nella pratica, il modo in cui viene attuato lo fa da tempo considerare un regime di carcere più duro, inflitto per indurre al pentimento giudiziario membri della mafia, della camorra o della ‘ndrangheta.

E così, anche se da tempo la legge è sottoposta alle critiche di molti operatori giudiziari e all’osservazione dei grandi organismi internazionali, perché la questione emergesse alla pubblica ribalta c’è voluta la sua applicazione a un soggetto non mafioso, l’anarchico Cospito. Gli anarchici che scendono in piazza reclamano l’abolizione dell’articolo 41, ma della sua esistenza sembrano essersi accorsi solo ora che ci passa Cospito. Si ritorna alla questione classista che dicevo.

Dopo la richiesta di revoca da parte del procuratore generale è probabile che la misura per lui cesserà il 24 febbraio. La decisione del ministro Cartabia è stata presa su basi discutibili, e in generale è problematico applicare a un’associazione tipicamente acefala come quella anarchica il criterio di gerarchia dentro l’organizzazione (lo speculare paradosso è che un anarchico può ottenere la revoca della misura solo richiamandosi allo stato di diritto).

Peraltro, se ne cerchiamo la coerenza in termini di ruolo gerarchico, le statistiche dicono che oggi il 70% delle persone sottoposte alla misura non rivestono ruoli apicali nelle organizzazioni mafiose (un’altra statistica notevole è che circa la metà di coloro che vi sono sottoposti non sono stati condannati con sentenza definitiva).

La verità è che il 41 bis non è una tara del sistema penale ma ne sconta i medesimi difetti concettuali.

Esistono spiegazioni teoriche sul perché si debba punire: le principali sono la retribuzione (perché qualcuno ha meritato la punizione), la prevenzione generale (come avvertimento a chi non ha ancora fatto niente: ecco cosa succede a chi compie una cattiva azione), la prevenzione speciale (per estromettere dalla collettività una persona pericolosa), l’emenda (per rieducare chi ha sbagliato). Tutte, se esplorate fino in fondo, presentano qualche falla logica, e così qualunque diritto penale (in assenza del quale la società uscirebbe distrutta) viene strutturato mescolando elementi dell’una o dell’altra giustificazione. Ma il diritto penale applicato (non quello pensato, che è quello descritto nelle dottrine) finisce spesso per mettersi alle spalle le teorie e diventare un puro strumento di amministrazione pratica. Si affida cioè al diritto penale il compito di risolvere problemi che lo stato non è stato in grado di affrontare adeguatamente in altri ambiti (come la tossicodipendenza o l’immigrazione).

Il 41 bis è altrettanto ibrido e amministrativo. Sarebbe una norma di prevenzione speciale (questa persona è pericolosa, facciamo in modo che non nuoccia) ma nell’insieme viene concepito in senso afflittivo: da cui il divieto di leggere libri che non siano nella biblioteca carceraria o i giornali, la riduzione stringente dei colloqui familiari (uno al mese: ma perché dovrebbe essere intrinsecamente più sicuro di uno alla settimana, specie considerando che è registrato e controllato?), il vetro di sicurezza salvo che il colloquio non sia con un minore di dodici anni (eppure abbiamo visto che le mafie possono pescare in qualsiasi età…), lo spazio esterno alla cella ridotto a due ore (di nuovo: o troppe o troppo poche), persino il divieto di cuocere cibi, prima che la Corte Costituzionale lo cassasse per incostituzionalità. Quanto allo sbrogliarsi di problemi che non si riescono a risolvere nel luogo giusto (in questo caso il carcere ordinario), non sarebbe così necessario elevare l’isolamento se nelle prigioni non arrivassero dall’esterno quotidianamente persino i telefoni cellulari.

Solo un paese europeo, la Polonia, ha un regime speciale paragonabile, ma in linea di massima meno crudele. Addirittura gli Stati Uniti (gli Stati Uniti!) negarono l’estradizione di un boss perché il 41 bis cui sarebbe stato sottoposto viene qualificato come una tortura.

Probabilmente allentare l’isolamento differenziato del 41 bis non è un lusso che possiamo ancora permetterci. Ma la sua riforma è doverosa: eliminazione delle restrizioni ipocrite e sostanzialmente afflittive, durata effettivamente limitata, valutazione periodica e realmente soggettiva del detenuto.

Non accadrà adesso, perché il governo avrebbe difficoltà a far digerire al suo elettorato una qualunque misura carceraria che non sia di inasprimento del carcere (salvo che riguardi reati di colletti bianchi).

Fa una certa tristezza, questo. Anche perché si preferirebbe tenere in serbo la pietas di cui si dispone per i detenuti comuni; oppure, la pietas per le vittime, invece che occuparsi di difendere i diritti dei loro assassini. Che però sono sempre esseri umani, che nel tempo potrebbero cambiare. E comunque, se ci giriamo dall’altra parte cambieremo in peggio noi.

Di |2023-05-12T16:05:25+01:0020 Febbraio 2023|10, Limite di velocità|

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