Perché le donne non fanno Pericle

Home>Perché le donne non fanno Pericle

Come può spacciarsi per democratico uno che esclude le donne quando parla di democrazia? Mi rendo conto che chi segue questo spazio web con una certa continuità potrebbe porsi sul mio conto un simile interrogativo. Nelle righe che seguono spiego a cosa mi riferisco e come mai, secondo me, è accaduto ( cioè introduco a un problema che riguarda l’espressione delle donne: che io sia o meno una persona di spirito democratico credo interessi a pochi).

Questo spazio web esiste da qualche mese e sin da principio la sua apertura in home è consistita nel Discorso di Pericle ai giorni nostri: ho proposto cioè a personaggi di vario profilo pubblico di mandarmi un video con la propria versione del più antico discorso sulla democrazia attualizzata e riferita all’argomento che preferivano. Il progetto si incammina verso la conclusione e tra poche settimane ci sarà una differente apertura. Allo stato attuale il bilancio si presenta deficitario sotto un profilo: tranne il magistrato Donatella Salari, sullo schermo per questo post-8 marzo, e la scrittrice e medico Silvana De Mari (che hanno trattato quasi lo stesso tema, ma con opinioni radicalmente opposte) tutti gli “oratori” sono uomini. Non stride che, proprio quando si discute di democrazia, vengano messe ai margini le donne, la cui subalternità di genere costituisce tuttora un tema caldo del compimento di una democrazia?

 

Certo che stride. E’ una pessima cosa. Il fatto è che c’ho provato. E’ che mentre una percentuale altissima degli uomini che hanno ricevuto la proposta hanno accettato, la totalità delle donne interpellate (salvo le due eccezioni che ho detto) ha rifiutato. Per meglio dire: alcune hanno rifiutato, con gentilezza, per lo più spiegando di avere troppi impegni. Altre, forse la maggioranza, sono fuggite. Non hanno proprio risposto. O risposto una volta per dire: certo, carino, perché no? E poi mai più sentite ( e soprattutto lette). Anche dopo diverse sollecitazioni.

 

Ora, quel che l’esperienza mi ha insegnato è che quando domando qualcosa è meglio che dall’altra parte ci sia una donna che un uomo. Non è detto che ottenga il mio obiettivo, ma normalmente una risposta sì. Specie poi quando si tratta di una “seconda risposta” dopo il contatto. Ne ho conosciuti a bizzeffe di fanfaroni che, in qualsiasi campo, si mostrano entusiasti di una proposta, e il giorno dopo è come se non li avessi mai incontrati. Con le donne è veramente una rarità.

Essendo impossibile che di colpo le donne abbiano assimilato in blocco i difetti dei maschi, ho cercato di spiegarmene la ragione. Certo, un pezzettino di spiegazione lo trovate nell’articolo in pagina in questi stessi giorni sul manterrupting: le donne, abituate a essere soffocate nell’espressione pubblica del pensiero, fanno un passo indietro e si ritirano da alcuni spazi. Ma francamente chiuderla così sarebbe riduttivo, e anche un po’ paternalistico. Le donne a cui mi sono rivolto quegli spazi pubblici li occupano con grande autorevolezza. Perché mai dovrebbero essere refrattarie a parlare in un contesto meno formale e affollato di quelli che praticano, o anche governano? Cosa ha di diverso, o di spiacevole, la mia proposta per una donna? Alla fine credo di esserci arrivato. Apparire in un video. Più precisamente, autoprodurre un video in cui apparire.

 

Viviamo in una società intasata di schermi che propongono un modello di apparire femminile legato alla bellezza, alla cura di sé anche nel dettaglio, alla certezza dell’osservazione giudicante maschile. Certo, i mezzi digitali hanno aumentato le occasioni di circolazione dell’immagine, e le donne non si sottraggono al gusto del post fotografico, magari anche del selfie. Ma Instagram e Facebook ( e soprattutto Snapchat) sono marcate dall’attimo fuggente, dalla posa ironica e casuale: sono quasi una trasgressione. Quando così non è, l’immagine della donna è assente (più frequentemente che non negli uomini) oppure preparata con cura (magari nella foto del profilo, che per molte rimane l’unica). Il video è una prova di durata, e come tale moltiplica l’ansia di apparire. Guardate chi sono tipicamente i youtuber di professione: uomini. Con l’eccezione delle donne che si occupano di moda o make-up: che cioè si rivolgono alle donne proprio sul tema attenzione è così che dovete apparire!

 

Mi pare, insomma, che le donne considerino il video come una piccola trappola, una temibile prova documentale di non essere apparse come l’uomo si attenderebbe da una donna, a rischio di forte spostamento d’attenzione da quel che dicono a come lo dicono.

Possiamo quasi parlare di una videofobia, provocata dalla dominanza ordinante dello sguardo maschile. Magari accantonabile se arriva una telecamera dall’esterno per una circostanza doverosa, ma meno facile da sconfiggere quando la richiesta è di organizzarsi un video per conto proprio, e non ve ne è alcuna necessità istituzionale.

Se la mia analisi è corretta, non se ne trae un indizio confortante delle dinamiche di genere.

E però, mi permetto di suggerire alle donne che possiedono gli strumenti intellettuali per focalizzare l’attenzione sui contenuti: non sprecate nessuna occasione per farlo attraverso uno schermo, quando si presenta l’opportunità. Non rappresenterete solo voi stesse. Sarete un modello emancipante per tutte le donne che si privano della parola o di momenti espressivi per timore di come saranno filtrate dal diseducato sguardo altrui.

Di |2020-09-11T15:16:50+01:0010 Marzo 2017|Il futuro della democrazia|

Scrivi un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Torna in cima