Resoconto Rachel Cusk

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Sarà stata una scelta felice quella dell’edizione italiana pubblicata da Einaudi, tradurre il titolo originale, “Outline” del romanzo di Rachel Cusk in “Resoconto”?  Outline indica più che altro una bozza, incompleta e rivedibile. Resoconto è una verbalizzazione minuziosa, pedante quasi. In effetti, la scrittrice nel primo volume di questa fresca e celebrata trilogia dettaglia con precisione certosina i suoi incontri con alcune persone, e soprattutto quel che costoro le raccontano. D’altronde, tutte queste confessioni (tali appaiono, per quanto sono in contatto con l’intimità) sono quasi sommari delle storie personali: siamo liberi di immaginarcene seguito, antefatto e anche di giudicarle prospettive distorte e parziali.

Una ragazza, nello spazio di tre pagine, descrive i turbamenti inconsci che le provocava la vista del patrigno a casa con la mamma e di come il ritrarsi psicosomatico dello stomaco si fosse convertito e sublimato nel fiato immesso nello strumento musicale. Potrebbe essere una traccia in una scuola di scrittura creativa (fra un attimo vedremo perché sarebbe calzante), riversato in linguaggio concertistico: sonatina per patrigno con vomito e tromba. Messe insieme queste vicende, mancando di un legame collettivo, sembrano rimanere un abbozzo rispetto all’idea di romanzo, che di solito consideriamo un resoconto, più o meno organico, di alcuni fatti. Probabilmente la tesi (eccessiva) che la Cusk abbia minato le basi del romanzo è da leggersi in questa chiave.

E però Rachel Cusk si mantiene saldamente in contatto con diversi capisaldi ricorrenti della narrativa americana (nella quale s’iscrive anche se è anglo-canadese). Intanto questa è una storia di scrittori, come qualche altro migliaio. Peggio (o meglio): il suo centro è addirittura un seminario di scrittura creativa, con la bontà di farlo svolgere ad Atene invece che a Manhattan o Londra. L’io narrante, Faye, è disegnata quasi come Rachel Cusk, divorziata e con due figlie, invece che i due figli della realtà, il che ha indirizzato il libro- non del tutto esattamente- nella categoria super-trendy dell’autofiction. Poi, Resoconto si presenta quale ennesima variazione sul tema del minimalismo, che nella sua cornice generale rappresenta lo sforzo di estrarre la narrativa dall’ordinario, con una certa parsimonia stilistica. Nell’estetica letteraria minimalista il narcisismo prevale sull’apertura, il ristagno sul cambiamento, la nevrosi sulla lucidità. Una differenza è che qui il filtro di Faye rende tutto più compassato, oltre a introdurre un interessante modalità formale (il flusso ininterrotto del discorso altrui dentro il “resoconto” di Faye), che è un modo originale per attribuire stile alto al parlato senza scalfirne l’autenticità.

I fugaci protagonisti di Resoconto, afflitti da infelici vicende familiari e sentimentali nelle quali hanno responsabilità abbastanza evidenti da emergere anche all’interno delle loro narrazioni auto-assolutorie, potrebbero essere in terapia. E Faye? Data la facilità con cui gli altri si sciolgono davanti a lei potrebbe pure essere la terapeuta. Se non fosse che a increspare una franca disponibilità all’ascolto c’è una perenne interferenza con la sua vita personale. Accade, nelle conversazioni di Faye, una sorta di perversione dei neuroni specchio. Prima di immergersi empaticamente nei gorghi in cui si dibattono gli interlocutori Faye deve simularli come gorghi suoi, attivando i circuiti della memoria (e in qualche caso anche le aree motorie: permetti un attimo?), e sperimentandoli nella propria biografia, cui cerca di dare un senso partendo dall’osservazione fuori di sé.

Proprio alla fine del libro due personaggi sembrano testimonial del metodo Cusk. “La vita sembra così ricca quando la guardo con gli occhi di uno scrittore, mentre la mia vita spesso appare sterile, come un arido pezzo di terra, dove per quanto io mi dia da fare non crescerà mai nulla” lamenta una donna. Ma, soprattutto, una drammaturga alle spese con un problema di scrittura. Quale? Lei lo chiama “compendiare”. “Ogni volta che concepiva un nuovo lavoro, prima di avere fatto significativi passi, si ritrovava a compendiare. A volte bastava una parola: tensione, per esempio, o suocera. Bastava compendiarla, e qualunque cosa appariva sotto ogni aspetto e a ogni scopo defunta, un’anatra spennata, e lei si bloccava. Perché prendersi la briga di scrivere un dramma sulla gelosia, quando gelosia era un compendio più che sufficiente?”. In un modo diverso questo romanzo si pone il problema del compendiare. E’ intelligente, chirurgico, metaletterario. Uno lo finisce, d’un fiato, e magari lo commenta così, con una certa distanza emotiva. Persino quello è un merito del romanzo, quel tirarci dentro il registro del resoconto. O abbozzo che sia.

 

 

Rachel Cusk

Resoconto

A. Nadotti (traduttore)

Einaudi

Di |2020-09-11T15:13:59+01:0011 Ottobre 2018|Sulla scrittura|

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