Fiabe dei giorni in cui le persone rimasero a casa/ L’autobus Ernesto

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Ci fu un periodo in cui tutti nel mondo dovettero rimanere a casa per diverse settimane.

Girava infatti un brutto virus, ed era importante non contagiarsi per proteggere le persone molto deboli e anziane, per le quali il virus era piuttosto pericoloso. Era probabilmente una cosa necessaria, ma a vederli sparire tutti di colpo dalle strade ci fu chi si preoccupò, perché non aveva ricevuto nessuna spiegazione.

Fu così ad esempio per i gatti randagi, i gabbiani, le farfalle, gli alberi, i torrenti, le stazioni, i marciapiedi e gli autobus. Gli autobus specialmente, perché erano abituati a stare con tutte le persone che si pigiavano addosso fino a far loro il solletico e gli facevano compagnia dall’alba sino all’ora tarda. Siccome poi gli autobus sono molto servizievoli e ansiosi, si convinsero che gli esseri umani si erano offesi con loro per qualche ragione e per questo si erano ritirati nelle case, o magari erano partiti per chissà quale pianeta diverso dalla terra. Tra gli autobus ce n’era uno piuttosto anziano, chiamato Ernesto, che aveva percorso almeno sei milioni di chilometri e trentaquattro metri durante la sua onorata carriera. Era stato fra l’altro il 37, il 18 barrato, il 52 notturno, il 109, insomma ne aveva viste di tutte i colori. Il suo sogno sarebbe stato di diventare uno di quegli autobus turistici con l’aria condizionata che si godono il panorama dalla costiera amalfitana o dalle ande boliviane, ma c’era da insistere, smuovere mari e monti, ed Ernesto aveva un carattere mansueto e capitava sempre che i suoi colleghi autobus gli passassero sopra, naturalmente in senso figurato, e così non ottenne nulla. Pochi giorni prima che gli esseri umani si chiudessero in casa, durante una corsa, Ernesto si era distratto fantasticando su uno di quei paesaggi e frenò con un attimo di ritardo. Una signora perse l’equilibrio per un attimo, dicendo “Uh!”. Poi si attaccò prontamente alla maniglia. Ma nonostante non avesse avuto conseguenze, l’episodio fece molto rumore tra gli autobus. I colleghi prendevano in giro Ernesto appena lo incrociavano: prima gli ripetevano “Uh!” e poi gli strombazzavano dietro con il clacson. Quando gli esseri umani sparirono dalle strade gli autobus che- lo abbiamo detto- sono autobus-centrici, pensarono di aver fatto loro qualcosa di male e tirarono fuori quel piccolo incidente di Ernesto. Approfittando della sua mitezza, sostennero che fosse stato lui a causare quel deserto. A Ernesto vennero i fanali lucidi ma asciugò le lacrime col tergicristallo e se ne andò in solitudine a vagare per la città silenziosa. La notte, spossato, arrivò sino a un’area di parcheggio per camper, vuota pure quella manco a dirlo, e si fece vincere dal sonno. Mentre stava sognando di affrontare i tornanti della Corsica fu svegliato bruscamente da qualcuno che bussava alla sua porta. Umani! Forse erano tornati! Aprì la piattaforma per accoglierli, e si presentarono Niki e Vicky, un giovanotto e una signorina dall’aria molto provata. Quando per bocca loro Ernesto apprese che gli esseri umani erano tutti in casa per la questione del virus e non della sua frenata, dal suo punto di vista si sentì sollevato. Ma poi chiese. “E voi, perché non siete rimasti a casa?” “Perché noi non ce l’abbiamo una casa! E così siamo costretti a rimanere al freddo sui marciapiedi. E quando ci scappa un colpo di tosse capita magari uno che è sceso un attimo da casa per fare la spesa e dice: “Bravi, bravi! Tossite! E’ per colpa vostra che cammina il virus. Vostra e di quelli che vanno a correre!”. Ernesto si dispiacque moltissimo per questa storia di Vicky e Niki che non avevano una casa, accese il riscaldamento e li invitò a rimanere dentro. I due si abbandonarono esausti sulle poltroncine ed Ernesto cominciò a riflettere. Era contento di questa vita che aveva trascorso macinando la strada, ma anche un po’ stanco. Con il cambiare delle temperature avvertiva i dolori dell’artrosi al volante e ai copertoni. E se fosse il momento di mettere su casa, si domandò? E non perdette tempo! Quando dopo diverse ore Niky e Vichy si svegliarono, Ernesto aveva già ricavato all’interno lo spazio di una piccola abitazione, eliminando tutti i sedili che non servivano allo scopo e arredando l’ambiente con un certo gusto, che aveva raffinato negli anni leggendo le riviste di design che qualche passeggero aveva dimenticato durante il viaggio. “Ora avete la vostra casa” disse a Niky e Vicky i cui occhi sberluccicavano per la gioia e l’incredulità.” Beh, almeno fino a che non potrete permettervi di meglio”. Decise che avrebbe cercato di persuadere tutti i suoi colleghi in pensione a seguire il suo esempio. Portare le persone avanti e indietro è bellissimo, ma vuoi mettere fare in modo che abbiano un tetto sotto il quale ripararsi? Un bel giorno, non tanto più in là, le strade e le piazze tornarono a riempirsi festosamente. Ernesto era contento che gli esseri umani avessero superato quel problema del virus, ma si era abituato alla tranquillità, e quel frastuono ora lo metteva un po’ a disagio. Per fortuna non si era disfatto delle ruote, e così una sera sul tardi lentamente si mise in moto. Quando si sarebbero svegliati non sarebbe mica dispiaciuto a Niky e Vicky, ne era sicuro, di vivere in una casa sopra un picco che si affacciava sul Gran Canyon.

Di |2021-01-02T08:09:21+01:003 Aprile 2020|Lo Storiopata|

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