Green pass e libertà

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Uno degli archetipi narrativi più antichi riguarda la somministrazione di un veleno da parte del malvagio e la vittoriosa ricerca dell’antidoto da parte dell’eroe. Per quanto ovviamente questo schema non sia così idealisticamente trasponibile nel mondo reale (nel quale è stato esageratamente appagato il motto brechtiano: beato quel paese che non ha bisogno di eroi), era francamente difficile immaginare che a un certo punto lo stronzo diventasse quello dell’antidoto.

Non intendo tuttavia soffermarmi sulla questione del negazionismo pandemico e dello scetticismo vaccinale se non per il profilo limitato del green pass, ed in particolare riguardo la pretesa lesione della libertà e l’attitudine a discriminare di un simile provvedimento. Nonostante si tratti di concetti espressi anche da un paio di autorevoli intellettuali, essi denotano una totale ignoranza di questi due basilari concetti politici.

Per intenderci, durante questa pandemia il problema reale di un eccesso di restrizioni di libertà a fronte di una sorta di integralismo sanitario si è posto davvero, e sul mio wrog ne ho trattato diverse volte. In una di queste (Essere responsabili a causa di altri), avevo osservato che c’è una differenza tra non essere libero di entrare in un cinema perché la sala ha raggiunto la capienza, dato che in quel caso la mia specifica condizione di spettatore in esubero provocherebbe un pericolo, e il non essere libero di uscire di casa dopo le dieci per il fatto che altri potrebbero rendersi pericolosi, uscendo a quell’ora. Nell’ambito delle numerose pesature all’ingrosso delle libertà individuali durante lo stato di emergenza credo che questo sia stato uno dei picchi.

Nel caso del green pass, invece, siamo all’esatto contrario, e viaggiamo perfino letteralmente dentro l’esempio del cinema di cui sopra, salvo che il pericolo proviene dalla mancata immunizzazione al virus invece che dalla capienza della sala. Chi sarebbe così idiota, riguardo alla capienza, da sostenere che viene violata la libertà di chi arriva dopo? D’altronde, che in certe condizioni in cui rappresenta un pericolo un soggetto possa venire limitato nel suo agire è una questione di tutti i giorni. Mi piacerebbe tanto prendere la strada sul lungomare contromano, specie quando posso avere il tramonto di fronte, eppure non sono libero di farlo. Oppure, per stare in un ambito più prossimo alla salute e all’emissione di fiato, qualcuno vorrebbe certo essere libero di fumare negli uffici, in treno o al ristorante, ma a un certo punto si è deciso che non si ha la libertà di mettere a repentaglio la salute degli altri che non fumano, e oggi quasi più nessuno la considera una misura liberticida.

E che dire della discriminazione? Discriminare vuol dire tipicamente escludere da qualcosa persone che sono preventivamente individuabili e che non possono modificare il proprio status. Discriminava chi scriveva i cartelli “non si affitta ai meridionali”, non chi affiggeva l’avviso che i morosi sarebbero stati sfrattati. Si potrebbe obiettare che è una discriminazione anche obbligare sostanzialmente a una scelta: per la verità sarebbe un uso piuttosto approssimativo del termine, ma presenterebbe una certa somiglianza quando, ad esempio, possano accedere a determinate funzioni solo coloro che giurano fedeltà a un partito (come fu per i professori universitari durante il fascismo). Il vero obiettivo in questi casi, tuttavia, non è discriminare, bensì uniformare. Ritorniamo allora nel campo della libertà: posso essere spinto (non esattamente costretto: undici professori rifiutarono il giuramento) a uniformarmi se voglio fare diverso? L’obiettivo che si intende raggiungere ha il suo peso nella risposta. Se si tratta di puntellare una dittatura la risposta è negativa. Frenare una pandemia non mi pare proprio la stessa cosa. Ma la questione è da vedere sotto un’altra ottica ancora.

Le libertà sono naturalmente in confitto tra loro, persino quelle che il liberalismo ha preteso di accreditare come libertà negative, che come tali non entrerebbero in contrasto con libertà altrui: in realtà la mia libertà di godere la proprietà sulla mia casa è di intralcio alla libertà degli altri di goderla collettivamente. Ma nel caso del green pass siamo proprio al dizionario di base della libertà (la mia finisce dove comincia la tua). Ci sono milioni di persone che vogliono esercitare la loro libertà di muoversi liberamente dentro spazi chiusi senza rischiare di contagiarsi, o di fungere da veicolo di contagio per persone fragili. Questa libertà è incompatibile con quella di chi, senza essere vaccinato, vuole stare dentro lo stesso ambiente.

Di più: siccome il virus continuerà a mutare fino a che potrà trasferirsi dall’uno all’altro (e quindi a rimanere insidioso), possiamo dire che uno degli obiettivi del green pass – e della strategia persuasiva che contiene – è proprio di accrescere le libertà, cioè di ripristinare le normali interazioni che la presenza di un virus come il Covid inevitabilmente compromette, imponendo provvedimenti restrittivi (che possono essere molto più razionali di quelli che si sono visti, ma sempre restrittivi sono).

Naturalmente, padrone chiunque di pensare che il virus sia ormai una banale influenza, che il vaccino contiene un chip che ci spia, che la poliomielite e il vaiolo li ha cacciati la divina provvidenza, che il green pass è mosso da non ben definiti progetti di egemonia e dominio. Ma finché questo pensiero non diventa maggioranza, chi vi si identifica dovrà sottostare alle regole stabilite dai governi legittimi e rispettare il criterio che è stato scelto per stabilire, nel conflitto, quale libertà debba prevalere.

E comunque, di tutti quelli che su questa storia cianciano di libertà, compresi Cacciari e Agamben, mi piacerebbe sentire l’opinione se l’Ebola cominciasse a trasmettersi per via aerea, e i migranti che arrivano dall’Africa rivendicassero la libertà di non vaccinarsi e di andare a fargli visita a casa.

Anche se prevale un tono leggero e una gradevole vena di humor, la documentazione è solida, gli esempi fitti e illuminanti

Corrado Augias, Il Venerdì

Un trattato, mica bruscolini. Il trattato, infatti, tipo quelli di Spinoza o di Wittgenstein, è un’opera di carattere filosofico, scientifico, letterario (...) E così è. Nel suo trattato Bassetti espone il come e perché dell’offesa.

Francesca Rigotti, Il Sole 24 ore

 

C’è un passo in cui di Bassetti dice che questo è un tema sorprendentemente poco esplorato...Non lo è più da quando c’è questo libro

La conclusione del conduttore di Fahrenheit – Tommaso Giartosio

 

Queste sono le tre ragioni per cui ci si offende:

  1. Hai detto male di me

  2. Hai violato un confine

  3. Non ti sei accorto di me come, e quanto, avresti dovuto

Di |2022-01-07T11:28:04+01:0030 Luglio 2021|Limite di velocità|

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