Il braccialetto elettronico e le violenze sulle donne

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“Il primo trasgressore è stato dotato di braccialetto elettronico questa settimana. Siamo nel bel mezzo di una rivoluzione, e la rivoluzione è un intervento rapido”. L’articolo è dedicato all’uso di questo strumento nel campo dello stalking verso le donne. È uscito in questi giorni in Italia per commentare l’introduzione nella prassi giudiziaria di Biella? O alla fine dell’estate, nei giorni successivi all’omicidio di Vanessa Zappalà, per la quale il giudice dichiarò (ignorantemente) che esso non sarebbe stato applicabile, rispondendo alle critiche su un delitto che poteva essere impedito? No. È stato pubblicato sul Los Angeles Times il 27 settembre 1992, a commento delle sue prime applicazioni nella Contea di Arapahoe.

Il braccialetto elettronico è un dispositivo geolocalizzante applicato nell’ambito del diritto penale, presentato quale progressista sostituto di fasi detentive della pena: cioè nel campo delle misure alternative o di quelle di prevenzione. Nel caso dello stalking è una misura di sicurezza aggiuntiva, che mira a rendere più certa la protezione delle vittime.

Come mai, un po’ in tutto il mondo, passa tanto tempo tra la fase della sperimentazione, o l’introduzione legislativa, e la concreta stabilizzazione nella prassi? Il costo fa il suo: Trinidad dispone ora di 250 cavigliere elettroniche (il riferimento posizionale al braccialetto è convenzionale) da destinare allo stalking, e il costo è stato di oltre 10 milioni. E però la cronaca, nel mondo intero, si riempie di episodi in cui è stato decisivo per scongiurare un’aggressione, e forse un femminicidio, o di altre nelle quali sarebbe stato salvifico. La Spagna, che ne ha intrapreso un impiego piuttosto regolare, ha ridotto di due terzi le aggressioni e azzerato le uccisioni.

L’efficacia dei risultati si lega però all’uso bilaterale, una prerogativa dei divieti di avvicinamento, visto che questi esprimono una relazione spaziale tra due soggetti. Il divieto di avvicinamento, infatti, può concernere certi luoghi: monitorare elettronicamente il sorvegliato significa solo far scattare un allarme quando vi si approssima. Ma basta seguire la vittima in un luogo diverso da quelli che di consueto frequenta per aggirare il controllo. Così, la soluzione più proficua (il cosiddetto tracciamento di prossimità) consiste nel raddoppiare il dispositivo gps (estendendolo alla vittima) e inviare un messaggio alle forze dell’ordine quando la distanza tra i due si riduce in modo sospetto e pericoloso. Lo stalker viene contattato dalla questura che gli chiede conto del suo percorso.

Gli effetti psicologici sulle donne, però, non sono sempre esaltanti. Nel 2014, alcune partecipanti a un piano di sperimentazione in California ammettevano di non riuscire a straccarsene. E una volta cessato il controllo (scaduto il termine o ritenendosi cessata la minaccia), prendevano a dormire con tutte le luci accese in casa ed evitano di uscire. Qualche settimana fa, Le Monde dava riscontro della sua evoluzione in Francia, e delle forme di ansia manifeste dalle donne, o del rischio dello spostamento della responsabilità su loro stesse. Riguardo quest’ultimo punto, è accaduto in passato che la polizia americana si ritenesse autorizzata a cessare la vigilanza quando l’avvicinamento fosse dipeso dalla vittima.

La libertà del corpo, per la donna a rischio di violenza, più che realizzata, viene surrogata in una diversa forma di controllo sul corpo e di oggettivizzazione dello stesso.

Infine, se si immagina una generalizzazione ad altre ipotesi del monitoraggio elettronico in chiave di prevenzione (come sottrarsi alla tentazione se funzionasse in questo caso?), la dimensione sicuritaria dell’organizzazione sociale subirebbe l’ennesima accelerazione.

Avremmo meno carcere ma molto più panottico. E una volta di più una delega alla tecnologia di sorveglianza di far quadrare i conti di falle che sono prima di tutto socioculturali.

Essere realisti, spesso, significa niente più che scegliere il male minore. Per quante obiezioni si possano avanzare, oggi il tracciamento di prossimità rappresenta una soluzione da perseguire. Non però da considerare un traguardo finale. La normalità della geolocalizzazione pubblica, nel lungo periodo e forse nel medio, crea molte più violazioni dei beni intimi, e della vita stessa, di quante ne impedisca.

Anche se prevale un tono leggero e una gradevole vena di humor, la documentazione è solida, gli esempi fitti e illuminanti

Corrado Augias, Il Venerdì

Un trattato, mica bruscolini. Il trattato, infatti, tipo quelli di Spinoza o di Wittgenstein, è un’opera di carattere filosofico, scientifico, letterario (...) E così è. Nel suo trattato Bassetti espone il come e perché dell’offesa.

Francesca Rigotti, Il Sole 24 ore

 

C’è un passo in cui di Bassetti dice che questo è un tema sorprendentemente poco esplorato...Non lo è più da quando c’è questo libro

La conclusione del conduttore di Fahrenheit – Tommaso Giartosio

 

Queste sono le tre ragioni per cui ci si offende:

  1. Hai detto male di me

  2. Hai violato un confine

  3. Non ti sei accorto di me come, e quanto, avresti dovuto

Di |2022-01-14T17:06:13+01:0017 Dicembre 2021|12, Limite di velocità|

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