La spinta gentile ovvero condizionare gli altri a fin di bene

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Cos’hanno in comune un orinatoio, un pacchetto di sigarette e un modello di adesione alla donazione di organi? A certe condizioni sono accomunati dalla “spinta gentile” cioè dalla possibilità di condizionare i comportamenti secondo un pungolo, cioè un blando incentivo. Ecco allora che disegnare una mosca sopra l’orinatoio, secondo il modello lanciato anni fa dall’aeroporto di Amsterdam,

riduce dell’80% quelli che “la fanno fuori” perché, parrebbe, gli uomini hanno un irresistibile impulso a centrare i bersagli; fotografare un cadavere sopra il pacchetto di sigarette, scrivendoci pure “provocano l’infarto” riduce drasticamente il numero di fumatori. E stabilire che, per la donazione di organi, si deve indicare il proprio rifiuto invece che l’adesione può incrementare i donatori dal 12% all’99% perché alla fine gli uomini vivono passivamente e tendono ad accettare la scelta più semplice.

 

La teoria del “nudge”, tradotta in italiano come “spinta gentile” o anche pungolo è stata formulata dal giurista Cass Sunstein e dall’economista Richard Thaler dieci anni fa in un libro così intitolato. Sunstein si era tolto la sua soddisfazione venendo chiamato come consigliere da Obama, che fece del “nudge” uno dei massaggi della sua campagna. Thaler ha ricevuto un onore ancora maggiore visto che la giuria svedese lo ha insignito del Nobel per l’economia pochi giorni fa. Il premio conferma l’innamoramento per la cosiddetta “finanza comportamentale”, che aveva ottenuto un primo riconoscimento con il Nobel al suo maggior esponente, lo psicologo Daniel Kahneman nel 2002, e proseguito con il medesimo titolo a Robert Shiller, che anche si districa in questa branca del sapere.

 

Quel che accomuna i teorici della finanza comportamentale è la ferma convinzione, corroborata da una serie di test sperimentali, che gli uomini non sono precisamente esseri razionali: o meglio, pur possedendo la facoltà del raziocinio,effettuano gran parte delle loro scelte secondo euristiche, o bias, cioè errori cognitivi che poggiano su scorciatoie del ragionamento, e sono legati al modo in cui le cose si danno. Sunstein e Thaler hanno coniato la distinzione tra gli Econi (la specie di homo economicus immaginato dalle scienze sociali tradizionali) e gli Umani, gi individui reali che si fanno tirare da circostanze minime in una direzione piuttosto che in un’altra. Ribadisco, non stiamo parlando del fatto che gli esseri umani si lascino guidare della passioni invece che dal calcolo, ma dal fatto che poggiano gli pseudo-ragionamenti su premesse sbagliate, di cui non hanno neppure coscienza.

 

Uno dei bias, ad esempio, è l’ancoraggio: per indovinare qualcosa che non sappiamo o prendere una decisione poggiamo su quel che sappiamo, anche se non c’entra. Se chiedono a uno che vive a Londra quanti abitanti ci sono a Rennes, in Bretagna, probabilmente risponderà un milione, prendendo come parametro di misurazione la sua città; se lo chiedono a uno che abita a Pescasseroli, che ha 2000 abitanti, risponderà 20.000 ( a Rennes sono circa 200.000). Se a un adolescente domandano nell’ordine quanto è felice e quante volte esce con la sua ragazza, c’è qualche possibilità che si dichiari moderatamente felice anche se non esce mai con una ragazza; ma se le domande vengono invertite l’astinenza forzata si proietta subito sul fattore “felicità” e ne indicherà un quoziente molto basso, pure se per il resto è la persona più felice della terra. Un altro bias è la disponibilità: si pensa e si decide a partire da quello che si ha sotto mano. Il picco delle assicurazioni contro le calamità naturali sale il giorno dopo un terremoto, anche se statisticamente la probabilità era più alta il giorno prima. Un altro ancora è l’avversione alle perdite: in un esperimento gli studenti che possedevano una tazza chiedevano per venderla il doppio di quanto gli altri studenti erano disposti a spendere per acquistarla. Così una campagna per il risparmio energetico sarà più funzionale se si proporrà come idonea a non perdere 500 euro all’anno piuttosto che a risparmiarli.

Altri bias sono più evidenti anche a occhi meno allenati: così la tendenza a conformarsi agli altri o quella a conservare lo status quo.

Ora, se così funziona l’agire umano, c’è modo di speculare su questi difetti a vantaggio del benessere delle persone? La spinta gentile sarebbe quel modo.

A ben vedere, non si tratta di una novità assoluta. Il marketing prospera sullo studio di queste forme di condizionamento. La variante sarebbe quella di pensarle a fin di bene. Sunstein e Thaler definiscono la loro posizione ideologica come “paternalismo liberale”. Non si costringe nessuno, non si rende particolarmente gravosa un’azione ma si suggerisce l’indirizzo inconsapevole verso un’azione particolare.

A rigore, bisognerebbe probabilmente distinguere a seconda che il “benessere” che deriva dalla scelta favorita dal nudge ricada sullo stesso soggetto condizionato oppure su altri. Vien da pensare che dovremmo considerare con maggior favore la prima ipotesi della seconda, e anzi forse considerare preclusa allo stato quella che sarebbe una violazione della norma kantiana di non usare il prossimo come un mezzo. Ma arriveremmo alla conclusione sconcertante che lo stato fa bene a imporre la scritta intimidatoria sui pacchetti di sigarette ma è in torto quando “bara” gentilmente per far aumentare il numero delle donazioni di organi, perché a giovarsene non è il sottoscrittore bensì quelli che riceveranno il suo rene. D’altro canto si potrebbe, all’opposto, dire che ognuno è padrone di sprecare la vita come meglio crede, ed è scorretto da parte dello stato interferire subdolamente con la volontà personale.

I due esempi riportati dimostrano però come sia artificioso tracciare una linea distintiva tra il singolo, il suo prossimo o la collettività tutta quanto alla ricaduta degli effetti di un comportamento “indirizzato”. Chi non rifiuta di donare un rene, e per questa semplice inerzia viene a trovarsi nella schiera degli elargitori, potrebbe un giorno salvare la sua vita per quella stessa legge che ha messo in circolazione più organi da trapianto. Quanto alle sigarette, la pubblicità negativa, nello scoraggiare il fumatore, avvantaggia anche le possibili vittime del fumo passivo, o persino quelli che potrebbero fumare per imitazione, in considerazione dell’ascendente del fumatore non dissuaso.

La verità è che la spinta gentile è un modo soft, e probabilmente ancora troppo soft, di ripensare al ruolo dello stato, del quale tanta parte del pensiero liberale ha ripudiato la facoltà di essere “etico” per il giusto orrore suscitato dal soffocamento dell’individuo nei regimi totalitari. Ma che lo stato possa mantenersi “minimo” e in questo modo neutrale è una menzogna: proprio il mercato, del quale viene rivendicata la “purezza” che lo stato dovrebbe evitare di corrompere, è un’istituzione altamente regolamentata, che senza i poteri (organizzativi e coercitivi) degli stati andrebbe in malora. Del resto, le costituzioni come la nostra sono imbottite di norme programmatiche sulla “promozione” di un valore piuttosto che di un altro. Troppo spesso questa formula è rimasta vuota iperbole: in alcuni casi sarebbe necessario puntellarla con un apparato normativo serio. Ma la “spinta gentile” sarebbe quanto meno un buon inizio. Un incrocio tra l’obbligo e la spinta gentile starebbe nell’obbligare le “imprese” a effettuare “spinte gentili” verso i lavoratori o i consumatori (o se non obbligarle motivarle con incentivi economici: che sono il passaggio successivo alla “spinta”, che per essere gentile non deve implicare esborsi significativi).

 

Dimentichiamo però lo stato e pensiamo a noi: cosa ci suggerisce la spinta gentile?

Intanto, che siamo in tutti qualche modo “architetti delle scelte”: se è vero che le persone prendono decisioni sulla loro vita in funzione del contesto in cui le decisioni maturano, è vero che nelle nostre relazioni siamo sempre in grado di immaginare, e salvo casi eccezionali in grado di parzialmente realizzare, un contesto che produca un risultato migliore anche per il prossimo. Se le persone a cui teniamo, i nostri cari o i nostri amici, scelgono qualcosa di sbagliato quasi sempre saremo stati anche noi a fallire nel compito di “architetti delle scelte”. O forse avremo scansato questa responsabilità.

C’è però una considerazione finale da non trascurare. L’altra grande acquisizione della finanza comportamentale (non del tutto incontroversa per il vero) è che il nostro cervello funziona a due velocità. Alcune decisioni le prendiamo con il sistema impulsivo, senza pensare, altre con il  sistema riflessivo, ragionando (Kahneman parla di sistema 1 e sistema 2). La premessa della filosofia della spinta gentile è che usiamo il sistema automatico più spesso di quanto immaginiamo, e l’intervento consiste nell’influenzare quel sistema automatico. Il nostro obiettivo reale, in molti contesti, dovrebbe essere quello di rendere le persone consapevoli e restituirle, per le decisioni importanti, all’attivazione del sistema 2. Il ruolo dei genitori nei confronti dei figli, in particolare, non credo debba consistere nella lubrificazione mirata degli automatismi ma nella serrata insistenza sull’apprezzamento delle ragioni più profonde che dovrebbero guidare l’agire.

 

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