Il bagnino e la principessa

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Fiaba. Leggi o ascolta

Sulla spiaggia di Acquabuffa, un giorno i bambini che erano in vacanza riuscirono a costruire con la sabbia il castello più bello e grande che mai bambini di Acquabuffa avessero costruito, e quando a fine giornata lasciarono il lido si ripromisero di giocarci al mattino dopo, se il mare fosse rimasto calmo e non l’avesse danneggiato. E in effetti il mare se ne stette tranquillo, ma ciononostante ebbero una brutta sorpresa. Il castello era abitato da piccoli esserini, poco più grandi di una lumaca, che li accolsero molto male, gridarono di non avvicinarsi perché quello era il palazzo reale e li respinsero addirittura con dei sassi, che maneggiavano con forza e destrezza. I bambini, piangenti, andarono a lamentarsi con Aurelio, il bagnino della spiaggia. Aurelio era un giovanotto possente sempre pronto ad assicurarsi che sulla spiaggia tutto filasse liscio, e aveva una particolare predilezione per i bambini. Una volta, per recuperare un salvagente con la paperella che si era allontanato al largo, percorse quindici miglia con le sue poderose bracciare per restituirlo alla bambina che singhiozzava per la perdita. Naturalmente la sua occupazione principale era badare che nessuno annegasse, aveva salvato la vita di diversi bagnanti incauti, e anche quel giorno era impegnato nel riportare a riva un signore che proprio non era capace di nuotare e aveva già bevuto mezzo mar Mediterraneo andando sotto con la testa. Ma quando fu raggiunto dagli strilli disperati dei bimbi, Aurelio lo mollò seduta stante (tranquilli, si salvò egualmente) e, dopo avere ascoltato la ragione delle lamentele, si diresse deciso verso il castello per intimare agli intrusi di sgombrarlo. Gli esserini però gli tennero testa nella discussione, e sostennero di essere un’intera famiglia reale con la sua corte e i servitori, che il malefico incantesimo di una strega aveva ridotto a quella dimensione. Prima di rimettersi in cerca della strega per sconfiggerla e tornare nel loro palazzo, un mago – che stava dalla loro parte – li aveva spediti temporaneamente in quella residenza, che aveva ritenuto adeguata al loro rango. Lì volevano aspettare l’unico membro della famiglia andato disperso, la principessa figlia del re e della regina, che era riuscita a scampare al rimpicciolimento e secondo certi canali informativi (vai a sapere quali) sarebbe arrivata sulla spiaggia di Acquabuffa da un momento all’altro. Aurelio non rimase del tutto convinto di questo racconto, ma dovette ammettere che i sovrani si erano espressi con molta cortesia; e alla fine erano rimasti d’accordo che i bambini, tranne che nelle ore del riposo, avrebbero potuto giocare fuori al castello.

Il giorno dopo il mare prese a gonfiarsi. I monarchi e il loro stuolo di cortigiani strepitarono che i cavalloni che cominciavano a lambire la battigia erano in realtà i cavalli dell’esercito che era venuto a raccoglierli, e così vi si buttarono dentro senza perdere tempo in ciance. Aurelio temette che avessero preso un abbaglio, e fu tentato di tuffarsi a soccorrerli, ma erano così piccoli che c’erano poche speranze di ripescarli. Ci stava comunque pensando, quando al lato opposto della spiaggia, vide una figura umana immobile e stesa sulla riva, dove era stata appena trascinata dalle onde. Le si avvicinò, le sollevò il viso che era quello della giovane più bella che mai avesse, non dico solo visto, ma anche sognato. Era svenuta e cercò di rianimarla. Lentamente la ragazza riprese i sensi e raccontò di essere una principessa venuta da un tempo e da un mondo lontano, e che su questa spiaggia le risultava ci fosse il palazzo dei suoi genitori. Aurelio si voltò verso il castello ma ebbe un sussulto, rendendosi conto che la marea sempre più violenta l’aveva spazzato via. Disse a Karima (così si chiamava la principessa) che la sua famiglia era dovuta partire per un viaggio ma siccome si erano dovuti muovere in fretta e furia il palazzo era rimasto parecchio in disordine, e bisognava aspettare che dei servitori locali riordinassero le camere, mentre lui intanto poteva farle compagnia. Poi le chiese di attenderlo un attimo, e andò a parlare con i bambini della spiaggia, pregandoli di rifare il castello, se possibile più bello e grande, non appena il mare si fosse tranquillizzato, come pareva in procinto di fare. Nel tempo di attesa, che alcuni testimoni sostengono essere stato di poche ore e altri di diversi giorni, Aurelio e Karima si innamorarono, e Aurelio pensava: “Darei dieci anni della mia vita per poter vivere tutta quella che rimane insieme a Karima”. I bambini vennero ad avvertire che le camere del castello erano pronte (lo dissero facendo l’occhiolino ad Aurelio), e davvero avevano fatto un lavoro eccezionale, perché pareva proprio una reggia e di dimensioni tali da contenere l’altezza umana. Karima entrata nel castello cominciò a piangere, e Aurelio pensò fosse per la commozione, perché le aveva appena proposto di sposarla. Invece lei confessò che aveva inventato tutto, non era una principessa ma una disgraziata che si era imbarcata da un paese povero per raggiungere le coste di un paese più ricco. Poi il barcone era affondato, lei miracolosamente non era annegata e al primo che l’aveva soccorsa, cioè Aurelio, aveva raccontato questa menzogna per non essere rimandata al suo paese. Ora, però, pensava fosse giusto raccontare ad Aurelio la verità. Lui stava per risponderle che non gli importava e che sarebbe stata per sempre la sua principessa quando sparì di colpo e in un attimo si ritrovò in un palazzo reale di qualche secolo indietro. “Eccolo che torna dall’incantesimo” disse uno che aveva l’aspetto di un mago, rivolto a una famiglia che sembrava di aspetto reale. “Caro principe, qui c’è la mia dolce figlia di cui intendo concederti la mano. Te la ricordi?” disse il re mostrando una bella fanciulla. Ma Aurelio era furioso: “Io non conosco e desidero nessuna principessa se non Karima. E non sono un principe ma un valido bagnino, promosso col massimo dei voti alla scuola di istruzione dei bagnini”. Il re scosse la testa sconsolato, mentre il mago gli spiegava: “Purtroppo con l’incantesimo ha perso completamente la memoria, ma su questo non posso far nulla. Solo nel XXI secolo sarà possibile, senza nemmeno che serva un mago, fargliela recuperare. Se vuoi posso spedirlo in quell’epoca”. Il re annuì, e detto fatto Aurelio si trovò nella sala di attesa di un ospedale. “Mi scusi, in che giorno e anno siamo?” chiese a un infermiere di fianco, e quello indicò una data di dieci anni più avanti rispetto al momento in cui era insieme a Karima nel castello. Vedendolo strabuzzare gli occhi, aggiunse: “Problemi di memoria, eh? Eh, è arrivato nel posto giusto, ormai con una piccola operazione mettono a posto tutto. Ecco, arriva la dottoressa”. Quale sorpresa! Si trattava di Karima, che lo riconobbe subito e lo abbracciò a lungo. Gli spiegò che era riuscita a rimanere e anche a fare strada nel lavoro, e che quando era sparito temeva fosse stato perché si era offeso per la bugia, ma aveva continuato ad amarlo. Aurelio gli raccontò la sua vicenda, ed entrambi convennero che era meglio lasciare le cose come stavano e non operarlo, altrimenti dal passato sarebbero venuti a riprenderlo. Degli anni persi ad Aurelio non importava, aveva detto che ci avrebbe rinunciato per avere Karima. Così vissero felici e contenti, e in questo non c’è nulla di innovativo visto che si tratta di una fiaba, ma ci fu un fatto bizzarro, e cioè che nella casa che scelsero per abitare scoprirono la presenza, nella camera degli ospiti, di un’altra famiglia reale, anch’essa composta di esseri minuscoli che però presentavano strani tratti fisici, come le chele al posto delle unghie. Aurelio e Karima pensarono che doveva essere stato davvero un problema diffuso questo degli incantesimi, e che nonostante tanti difetti si viva più sicuri ai tempi nostri. Comunque decisero di non scacciare la famiglia incantata, limitandosi a confinarla nella camera in cui viveva. Poi un giorno partirono, senza avvertire. Di fronte alla finestra si era insediata una famiglia di merli in un nido, ma ancora oggi Aurelio e Karima non sanno se siano uccelli veri o vittime di un incantesimo.

Anche se prevale un tono leggero e una gradevole vena di humor, la documentazione è solida, gli esempi fitti e illuminanti

Corrado Augias, Il Venerdì

Un trattato, mica bruscolini. Il trattato, infatti, tipo quelli di Spinoza o di Wittgenstein, è un’opera di carattere filosofico, scientifico, letterario (...) E così è. Nel suo trattato Bassetti espone il come e perché dell’offesa.

Francesca Rigotti, Il Sole 24 ore

 

C’è un passo in cui di Bassetti dice che questo è un tema sorprendentemente poco esplorato...Non lo è più da quando c’è questo libro

La conclusione del conduttore di Fahrenheit – Tommaso Giartosio

 

Queste sono le tre ragioni per cui ci si offende:

  1. Hai detto male di me

  2. Hai violato un confine

  3. Non ti sei accorto di me come, e quanto, avresti dovuto

Di |2022-01-07T11:28:10+01:0030 Luglio 2021|Limite di velocità|

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