La bomba di Enrico Deaglio

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Se non altro, contrariamente al presidente della Repubblica Saragat, Mariano Rumor- allora presidente del Governo- si presentò ai funerali della vittime di Piazza Fontana, distribuendo condoglianze a “quei poaereti che non chiedono niente”. Ma quando nel 1977, venne interrogato a proposito della matassa ingarbugliata che era diventata la strage, oppose al Tribunale di Catanzaro diciotto “non ricordo”. Ecco, il libro di Enrico Deaglio, per quel che concerne il ricordarsi, è la catarsi editoriale della piaga purulenta che l’episodio rappresentò nella storia dell’Italia repubblicana: qui tutto è caparbiamente annotato e ricostruito, oltre che rivissuto con indignata e dolorosa passione civile. E corredato di inquietanti risistemazioni cronologiche: è più o meno nelle stesse ore che Giovanni Lorenzon- che verrà screditato come “mitomane traumatizzato”- confessa al suo avvocato quanto gli aveva raccontato l’amico neonazista Ventura sul proprio coinvolgimento nell’atto terroristico e l’anarchico Pinelli precipita dal quarto piano delle questura di Milano. Successivamente Lorenzon sarebbe stato dotato da un magistrato di un apparecchio per registrare le sue conversazioni con Ventura: peccato che gli agenti di polizia giudiziaria avessero la prima volta procurato una cassetta già piena e la seconda dimenticato di cambiare le pile scariche del registratore. Intanto le indagini continuavano a puntare sugli anarchici, sulla pista Valpreda. In fondo non si trovava a Milano il giorno dell’esplosione? Sì, ma curiosamente era arrivato giusto in tempo su convocazione del Tribunale di Milano per essere interrogato sul “vilipendio di un capo di stato estero”. Non vorrei dare l’impressione che il cuore del libro sia uno scavo giudiziario: che la strage sia da ascrivere ai neonazisti di Ordine Nuovo è ormai pacifico, anche dagli atti giudiziari (benché processualmente Freda e Ventura non siano più giudicabili per il principio del ne bis in idem: non si può condannarli  per gli stessi fatti per cui erano stati assolti), come lo è la connivenza di interi apparati dello stato. Quel che rimane non interamente definita sono la qualità è il grado di questa complicità, e il libro di Deaglio mette a nudo l’infiltrazione quasi strutturale nei gangli dello stato in nome della continuità con il fascismo. Sfilano personaggi basilari come il questore di Milano, Marcello Guida, cui si deve la dichiarazione che Pinelli si era lanciato dal balcone gridando “E’ la fine dell’anarchia”, che era stato lo zelante direttore a Ventotene del carcere per i detenuti politici durante il ventennio, per poi proseguire la sua carriera sino alla Questura di Milano, passando per la Questura di Torino dove finì sul libro paga della Fiat, un milione all’anno per “aiuti negli scioperi”; o come Silvano Russomanno, arruolato della Luftwaffe durante la Repubblica di Salò, e nell’Italia repubblicana promosso a uomo di punta dei servizi segreti. La scoperta recente sulla morte di Pinelli è che l’Ufficio Affari Riservati, di cui Russomanno era dirigente, esautorò magistrati e poliziotti dalla conduzione dell’indagine, e che la questura brulicava di agenti speciali durante la morte di Pinelli. “La bomba” è una terribile immersione in quell’occulto sequestro della democrazia che avvenne in Italia, e che quasi ci fa apparire desiderabili questi nostri tempi bigi. La prosa scintillante di Enrico Deaglio è unica, come sempre, nel trattamento dei fatti di cronaca politica (e non) come un prezioso materiale letterario; e non si capisce fino in fondo perché la distinzione di genere tra no fiction e narrativa continui a valere solo per lui. Come fu per “Patria”, ha scritto in ogni caso il miglior libro italiano dell’anno.

 

Enrico Deaglio

La bomba

Feltrinelli

Di |2020-09-11T15:17:25+01:0010 Dicembre 2019|Libri consigliati|

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