Recensione del film “Vaccino”

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Chi l’aveva prevista prima la pandemia? L’editoria e gli schermi sono sguinzagliati sulle tracce di opere che si possano indicare come profetiche dei nostri giorni di oggi (ad esempio, si attende ormai con ansia la trascrizione televisiva del romanzo di Stephen King, L’ombra dello scorpione datato 1978, la cui trama si snodava intorno a un’epidemia falcidiante). E però (vedi David Quanmen con Spillover), certi foschi presagi si potevano trarre da un’osservazione delle mutazioni naturali. Ma le liti e le code per il vaccino chi mai le poteva pronosticare? Beh, uno a quanto pare, c’era: un onesto regista e sceneggiatore polacco, Krzystof Lang, meglio conosciuto per gli spettacoli teatrali televisivi, che nel 2011 realizzò il fantasy distopico Vaccino. Dimenticato dopo sei mesi di patria circolazione, il film si accinge, a dieci anni di distanza, a irrompere sugli schermi europei (se nelle sale o in streaming lo deciderà il procedere delle misure di contenimento), e con una notevole grancassa mediatica. Come diremo fra un attimo, il film è molto interessante e non vogliamo attribuirgli le colpe della manipolazione commerciale che cominciano dal titolo. Nella versione originale, infatti, la pellicola si chiamava Eliksir, correttamente, dato che non parla affatto di vaccini ma di pozioni magiche. Nella sua seconda vita, lo stesso titolo polacco è stato variato in Sczepionka, che significa appunto Vaccino, per sfruttare l’onda mediatica, secondo i comandamenti della distribuzione internazionale. Bisogna riconoscere, tuttavia, che il malizioso aggiustamento non è peregrino perché la pozione magica viene trattata esattamente come un vaccino.

La trama si svolge in luogo e storia imprecisati, ma che possono collocarsi dentro una mitica metropoli tardo-medievale, nella quale gli alchimisti e i maghi occupano un ruolo paragonabile ai moderni rampanti della finanza o agli start-upper della Silicon Valley. Uno di essi, Dariusz Kaczmarek, vede premiata la ricerca dell’elisir di eterna giovinezza, una pozione che stabilizza il corpo nello stato cellulare in cui si trova al momento dell’assunzione. Cosa rende questo plot arcaico una sorprendente parabola dell’attualità? In primo luogo la formula sociale con cui la pozione viene proposta, e cioè come scoperta medica per curare la malattia dell’invecchiamento. Il deperimento dell’organismo non viene considerato quale fase decadente dentro un ciclo vitale, rispetto al quale la magia o la fusione dei metalli si propongono come forzatura “tecnologica”, bensì come un accidente, né più né meno di un colpo apoplettico o di una frattura cranica conseguente al precipitare di un masso sulla testa. E in secondo luogo, la pretesa collettiva di ricevere la guarigione dal male. Tanto più che Kaczmarek sostiene che la vecchiaia non sia solo una malattia a sé stante ma sia addirittura contagiosa. Con troppi anziani in circolazione, tutta la popolazione comincerebbe a incanutire e scatarrare più velocemente. Una teoria che suona come dannazione per gli anziani, che cominciano a essere rinchiusi nei ghetti, perlomeno (garantisce il monarca del regno) fino a che la distribuzione dell’elisir non sarà stata ultimata. Non è un paese per vecchi, insomma: e la fregatura che grava su costoro è che l’elisir non fa tornare indietro nel tempo. Se quindi sei vecchio rimani vecchio per un tempo più lungo, ma giovane rimani solo se sei giovane.

Il film è soprattutto una parabola sociale e una storia corale, e quindi non voglio soffermarmi sui singoli personaggi e i loro intrecci (benché ve ne sia qualcuno intrigante; e tra questi spicchi la figura di Kaczmarek chiaramente ritagliata su quella storica del Conte di Saint Germain, alchimista avventuriero vissuto alla corte francese del XVII secolo, già apparso nella Dama di Picche di Puskin e nel Pendolo di Foucault di Umberto Eco). Quel che prima di ogni cosa risulta avvincente per il nostro io meschino, incatenato nella grande paura contemporanea, è l’incredibile esplosione delle medesime dispute che ci si parano davanti oggi. Siamo certi che una volta vaccinati, l’immunità alla degenerazione cellulare duri per sempre? Si dovrà assumere la pozione ogni anno (almeno è un beverone allegramente arancione e non un siringone doloroso)? O addirittura i suoi effetti svaniscono ogni ventiquattro ore, come paventano gli oppositori della somministrazione, negazionisti che organizzano una violenta resistenza alla campagna? Lungi dal diffondere benessere e speranza, la comparsa dell’elisir innesca una sanguinosa guerra civile nella quale gli anziani, compattati dalla sopravvenuta emarginazione sociale, ritrovano nel valore della finitezza la vera energia per scuotere la propria esistenza e provare a rifondare le basi della convivenza, riprendendo le redini della comunità.

Se scostiamo l’attenzione dagli inevitabili paragoni storici, Vaccino offre una riflessione profonda sulla vecchiaia e sui rapporti generazionali, tutto sommato più affascinante delle vicende imperniate sull’azione, che risentono di un certo manierismo. Lang carica espressivamente le differenze di età abbinando lo sfuocato dei volti anziani alla sovraesposizione luminosa dei giovani inebriati dalla fiducia nella pozione. Radicato nella tradizione nazionale, il regista ricorre felicemente per il commento musicale a spezzoni delle colonne sonore di Kilar e mostra nel montaggio tutti i debiti maturati verso il maestro Wajda. L’interpretazione di Kaczmarek resa da Artur Barcis (qualcuno lo ricorderà nel Decalogo di Kieslowski) è forse fin troppo sobria rispetto all’umore del film, che schiera altre figure di primo piano del cinema polacco, come Bozena Fedorczyk nella parte di una spregiudicata cortigiana, e Olek Krupa. Il rilancio del film è stato sostenuto dalla Bill Gates Foundation, ciò che ad alcuni apparirà come una curiosità o una conferma di mecenatismo, e nei complottisti solleciterà, al solito, l’idea di un collegamento tra il miliardario fondatore di Microsoft e le vicende che, in un modo o nell’altro, girano intorno alla diffusione della pandemia.

Questo articolo rientra nella categoria della False Recensioni, critiche relativa ad opere artistiche inesistenti, totalmente inventate.

Di |2021-04-16T14:36:48+01:005 Febbraio 2021|Il Nuovo Giudizio Universale|

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