Recensione della serie “Into the night”

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Forse non è più la narrativa che descrive la realtà ma la realtà che cerca di adeguarsi alla narrativa. A ridosso del Covid sia gli schermi che l’editoria stanno sfornando una serie di plot apocalittici che però erano stati ovviamente preparati prima (persino un romanzo che s’intitola Pandemia), ed è come fosse stato il virus per gentilezza a cavalcare la moda. Da un lato questa produzione acuisce l’angoscia, dall’altro l’allevia, perché i guai che comporta sono sempre parecchio peggiori di quelli pur funesti provocati dal Covid. Into the night è una storia di quasi-estinzione della specie, il cui mood (che poi è la vera giustificazione di questa  temperie distopica) è la percezione dello sconquasso climatico. Miniserie belga in sei puntate da quaranta minuti scarsi l’una – una pacchia per il binge watching – in onda da pochi giorni su Netflix, parte in quarta, a catastrofe appena cominciata. Un ufficiale italiano sale su un volo Bruxelles- Mosca e intima con un mitra al comandante di andare verso ovest. Si apprende presto che non si tratta di un capriccio. I raggi solari stanno uccidendo tutti e necessita scampare l’alba spostandosi in aereo dove il globo si rabbuia mentre si pianifica una risoluzione più stabile. I passeggeri non sono tanti, perché Terenzio (Stefano Cassetti) ha fatto chiudere in fretta e furia il portellone. La serie quindi si svolge quasi interamente in aereo, che è uno sconto di produzione mica da ridere oltre che un topos narrato-claustrofobico. Quando a un certo punto si crea un buco nel finestrino la storia avrebbe già di rappezzare ben peggio in termini di verosimiglianza (contata ovviamente come coerenza interna dentro un fantasy). Il fulcro psicologico è l’asse conflitto/solidarietà dentro il quale oscillano i personaggi, a ognuno dei quali quali il creatore Jason George – che si è ispirato al libro The Old Axolotl dell’autore polacco Jacek Dukaj – cerca volenterosamente di ritagliare un’identità, per quanto scolpita con lo scalpello (e con qualche stereotipizzazione nazionale: ricordate le barzellette? Su un aereo ci sono un italiano, un turco…). Il merito che cattura lo spettatore è l’intensità del ritmo. Non passa praticamente un minuto senza che si accenda un nuovo campo di azione, nella contrapposizione personale ancora più che nella lotta comune per la salvezza. È un dettaglio che tiene da solo la baracca, e piuttosto bene, anche se con l’avanzare del film il passaggio della sceneggiatura da dialogo di cruda interazione fra disperati (dove funziona onestamente) a sceneggiatura di drammatizzazione dei caratteri interiori ( dove sfora il ridicolo) mette un po’ in sofferenza. Ma il disastro è nel finale, sia detto senza spoilerare. Into the night, in effetti, offre un’interessante riflessione sulla serialità: qual è il punto di equilibrio accettabile in cui una serie si può concludere segnando uno stacco diverso dal cambio di puntata e al tempo stesso lasciando aperto lo spazio alle seconda serie? Quel che mi limiterò a dire è: non questo. Così ti sembra solo di essere arrivato, insieme ai nostri eroi, al traguardo parziale di un videogioco che procede adrenaliticamente per salto di ostacoli. Se non vi disturba che sul più bello vi dicano beh se ne parla tra un annetto, vedetela. Se no lasciate stare.  

 

Into the night

Inti Calfat e Dirk Verheye

Votazione finale

I giudizi

soli_4
Perfetto


Alla grande


Merita


Niente male


Né infamia né lode


Anche no


Da dimenticare


Terrificante

ombrelli_4
Si salvi chi può

Di |2021-01-02T08:19:30+01:0015 Maggio 2020|Il Nuovo Giudizio Universale|

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