Recensione del film “Cosa sarà”

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È mai possibile scegliere come film natalizio da streaming, in assenza delle sale, una pellicola che parla di una grave malattia? In questo periodo, poi, sciropparsi pure sullo schermo facce che per necessità ospedaliere sono menomate dalla mascherina? Ebbene, la risposta, niente affatto masochistica è sì, e già lascia intendere che il regista Francesco Bruni ha compiuto un miracolo di grazia. La proiezione di “Cosa sarà” ha chiuso il Festival del Cinema di Roma e la sua uscita del 24 ottobre è stata resa effimera dalle misure di emergenza, ma contrariamente ad altri film è stata scelta la via di destinarlo immediatamente allo streaming (personalmente l’ho visto sulla piattaforma Chili che, per chi non lo sapesse, è accessibile senza abbonamento ma a consumo per ogni film).

Il protagonista Bruno Salvati, interpretato da Kim Rossi Stuart, è un regista che apprende di essere malato di leucemia, ed è un alter ego del regista vero che è passato per quest’esperienza, salvandosi come il Bruno salvato(i) del film, insomma un alter ego al quadrato. La traccia che essa ha lasciato sull’autore non è una rabbia sorda come nel Nanni Moretti che in “Caro diario” raccontava l’angosciosa scoperta del suo linfoma di Hodgkin. A parte un umore totalmente diverso, Bruni ha evitato che l’autobiografismo diventasse una gabbia e ne ha tratto spunto per una storia (sceneggiata insieme a Rossi Stuart) diversa ma in realtà in buona parte uguale, intendo non uguale a quella di Bruni ma uguale a tante storie di malattia, paura e guarigione con i loro gesti minuti, sussulti interiori e piccoli atti del quotidiano e della nuova pena che esso porta. E qui ne vengono fuori sommessa poesia e sommesso riscatto, direi anche una capacità notevole di pescare il ridicolo nel drammatico (per la maggior parte del tempo “Cosa sarà” è una deliziosa commedia, che ogni tanto vira bruscamente verso il pathos e la commozione). C’è una scena in cui Bruno presenta il suo ultimo film nella cineteca dell’ospedale che si candida, proprio a fine anno, appunto per l’oscar comico/tragico, e dispiace non raccontarla per non spoilerare ma tanto non sarebbe per nulla la stessa cosa che vederla.

Attorno a Bruno si stringe e ricompone la famiglia, che si era appena decomposta con la separazione, e così la squadra anti-malattia è composta dalla figlia ipermatura che si è anche stufata di essere tale, del figlio patologicamente fifone e moderatamente cannaiolo, della moglie che prende garbatamente di petto le situazioni, del padre inopportuno e un po’ cialtrone ma con la consapevolezza di esserlo, della dottoressa che fa la tosta ma una volta all’anno invita in mini-crociera quelli che ha operato, dell’infermiere premuroso, e di un alleato inatteso che risulterà decisivo. La posta in palio è trovare il donatore per il trapianto di midollo, che prima si cerca tra i familiari; se ci sono incompatibilità si attinge a un archivio mondiale ma nel quindici per cento dei casi non salta fuori, e Bruno Salvati vive nell’incubo di essere in quel quindici. La narrazione procede con flash-back tra la fase della chemioterapia e gli eventi che l’hanno proceduta, molto pulito e ordinato, come il montaggio e i piani di inquadratura che abbondano di occhi vigilanti e affettuosi, anche alcuni che scappano sopra le mascherine.

È il classico manifesto anti-uomo cazzone del XXI secolo, disegnato con mano femminile da un regista maschio che mostra l’abissale differenza che allo stato esiste, a favore della donna, in qualsiasi contesto sociale in cui lo scopo non sia quello di fare la grana. Non ha nessuna presunzione di insegnamento virtuoso e lascia ciascuno libero, anche il protagonista, di percepire confusamente il proprio.

Kim Rossi Stuart è gigantesco, e Fotinì Peluso molto convincente nella parte, psicologicamente sfaccettata e non semplice, di sua figlia. Per il resto la recitazione non è il pregio del film, a causa di un eccesso nell’enfasi, ma certe forme di artificialità non sono poi così aliene dal disagio di assumere una posa appropriata nella vita reale. Il vero difetto è un’irrealistica, massiva circolazione di bontà in tutte le interazioni e gli stati d’animo, roba che un film di Frank Capra al confronto è un noir di Tarantino. Magari rivedendolo fra dieci anni lo metteremo in croce per questo. Ma, per quel che ci sta propinando il 2020, teniamocelo adesso e addosso, come un orsetto di peluche.

Cosa sarà

Francesco Bruni

Votazione finale

I giudizi

soli_4
Perfetto


Alla grande


Merita


Niente male


Né infamia né lode


Anche no


Da dimenticare


Terrificante

ombrelli_4
Si salvi chi può

Di |2021-01-02T08:02:51+01:0015 Dicembre 2020|Il Nuovo Giudizio Universale|

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