Recensione del film “Sono tornato”

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Sono tornati in due. Uno è il film tedesco “Lui è tornato” del quale questo italiano costituisce un remake. L’altro è Mussolini. Perché se in “Lui è tornato” si narrava della ricomparsa di Hitler ai giorni nostri e del suo tentativo di riconquistare il consenso e il potere, la variante in “Sono tornato” è che la rentrée riguarda il duce. La cronologia cinematografica è dunque invertita rispetto a quella storica, e come Hitler fu allievo e superò il maestro, inventore del fascismo, Luca Miniero applica talvolta alla lettera la lezione del predecessore e ci aggiunge bene del suo. Ma a un certo punto s’impaurisce di se stesso e tra un attimo vedremo come.

L’avvio propone una rimpatriata dagli inferi senza tanti fronzoli, in cui Mussolini (interpretato da Massimo Populizio) sputato dalla terra, dopo essere incappato in una serie di piccoli incidenti, viene accolto con entusiasmo da un regista da strapazzo socialmente impegnato (Frank Matano): non perché il giovanotto sia un nostalgico della camicie nere ma perché lo scambia per un ispirato attore avvinghiatissimo alla sua parte e pensa che portarlo in giro per l’Italia e studiare le reazioni della gente sia un buono spunto documentaristico. Quando però i dirigenti della più popolare tv privata del paese lo intercettano intuiscono che hanno tra le mani un più un animale da talk-show.

Mussolini ci mette poco a familiarizzare con la tv dell’audience e con i social media. Come a dire che, stringi stringi, sempre sotto Palazzo Venezia stiamo. E soprattutto è pronta a tornarci la gente italiana, superficiale, rozza e disincantata (ma anche incantata) come lo fu sotto il fascismo, pure se il braccio destro in avanti lo tenderebbe col cellulare, e come prima reazione alla visione del duce corre a immortalarsi insieme con lui nei selfie.

Per due terzi il film è portentoso, infilando tre cose insieme: divertentissimi candid camera sulle persone reali coinvolte nel finto documentario, con uno stordente effetto pastiche; ottime gag dentro una sceneggiatura continua e brillante (magari detto così è come una barzelletta spiegata che come tale non fa ridere, però Mussolini che canta a squarciagola L’italiano di Toto Cotugno, posso assicurarlo, è esilarante); soprattutto la capacità angosciante di contestualizzare il Duce in modo che il riscontro favorevole del paese appaia plausibile e scoprirci disturbati perché lo stiamo trovando simpatico, e cominciando a scuoterci e staccarci dalla massa quando constatiamo che per renderlo odioso le rivoltellate contro un cane hanno miglior gioco che il ricordo del terribile passato. Miniero insomma è abilissimo a trascinarci in una specie di ipnosi, sottilmente parallela a quella degli spettatori del “Benito Mussolini Show” che guardano qualcuno che non dovrebbe essere Mussolini, bensì un innocuo attore, e però vi si rapportano come se fosse quello vero, e l’ambiguità della recita è il pretesto interiore per dare spago al fascista che è in loro. E’ uno schiaffo che si rivolge anche allo spettatore, in grado di colpirlo in profondità.

Ma qui Miniero si impressiona, probabilmente spaventato di quanto il gioco stesse riuscendo bene e di come l’intento dimostrativo (quasi pedagogico) potesse rovesciarsi nel suo opposto e quasi diventare involontario propagandismo del duce. Ragionevole o meno che fosse il dubbio, certo è che Miniero non riesce a trovare una soluzione filmica adeguata (certo resa più impegnativa dalla circostanza ulteriore che il finale dovesse volgere a favore di Mussolini) e smarrisce completamente la bussola nell’ultima parte eccedendo sia nella farsa (che grava sulle spalle attoriali non solidissime del simpatico Frank Matano) sia nella tragedia della memoria (o se preferite nella memoria della tragedia) con un monologo di stampo inopinatamente teatrale rivolto al duce da una vecchia ebrea e l’idealismo didascalico di una giovane giornalista durante la riunione di redazione della tv. Ecco che la complessità del discorso sin lì condotto da Miniero si annacqua nella consueta deplorazione delle leggi razziali, come se senza quel perno la critica al regime restasse tanto monca da renderlo passabile. Che, alla fine, è proprio l’argomentazione di stampo nostalgico, una di quelle che produce proprio l’effetto che il film vorrebbe avversare, quello di un passato che non passa e con cui non si sono fatti pienamente i conti.

Massimo Popolizio interpreta alla perfezione gli intenti programmatici del regista e non a caso si offusca insieme al film, nelle scene conclusive. Tra gli sciacalli del sistema mediatico Gioele Dix offre la sua elegante interpretazione, un tantino troppo controllata, e Stefania Rocca si arrangia nella caratterizzazione del personaggio più squilibrato del film. Ma è ormai evidente che l’incapacità cinematografica di costruire decorosamente una caricatura non scipita delle virago televisive meriterebbe una class action.

 

Sono tornato

Luca Miniero

Votazione finale

I giudizi

soli_4
Perfetto


Alla grande


Merita


Niente male


Né infamia né lode


Anche no


Da dimenticare


Terrificante

ombrelli_4
Si salvi chi può

Di |2020-09-11T15:16:21+01:009 Febbraio 2018|Il Nuovo Giudizio Universale|

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