Recensione del film “Rifkin’s festival”

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Spurgato parzialmente il rancore grazie all’uscita della sua autobiografia, Woody Allen è tornato a guardare il mondo criticamente sì, ma con quella ineguagliabile mistura di cinismo e tenerezza che avvolge i suoi personaggi e contribuisce a definire l’ipocrisia e la vacuità di alcuni ambienti. Girare in Europa è per il regista sempre una terapia, oltre che a questo punto una necessità, visto che in America è vigente il bando che lo mette all’indice. Questa volta la location (il termine è appropriato, perché qualche inquadratura ha scoperto fine di promozione turistica) è San Sebastian, e lo sfondo è il suo festival del cinema.

La trama, da molto tempo, ha un’importanza limitata nei film di Allen e si nutre di minime variazioni ambientali e generazionali sopra la medesima struttura e tipologia delle persone, e sempre il protagonista è un alter ego del regista e delle inquietudini che in quel momento più opprimono il suo animo. In Rifkins’festival un ex docente di cinema fallito nelle sue ambizioni di scrittore, un tantino annebbiato dalla senilità ma con qualche lampo della sua passata brillantezza, Mort Rifkin, decide di accompagnare sua moglie (Gina Gershon) al festival. Per lei è un viaggio di lavoro, è l’agente che cura l’immagine di un rampante e seduttivo regista (Louis Garrel), pomposo e velleitario (alla manifestazione presenta un’opera con la quale pretende di risolvere la crisi arabo-israeliana), giustamente detestato da Mort visto che fa il filo a sua moglie, che pare apprezzare;  d’altronde il loro legame di coppia è parecchio logoro, e Mort accarezza l’illusione di potersi consolare con una cardiologa spagnola (Elena Anaya), a sua volta sfibrata psicologicamente dalla propria relazione matrimoniale. Il vero riparo per Mort, tuttavia, sono i sogni notturni, che riadattano film classici europei alle sue memorie d’infanzia, alle sue speranze, alle sue angosce.

Quest’omaggio innamorato al cinema francese, italiano e bergmaniano (che in aggiunta ai dialoghi funge parallelamente da sprezzo del cinema hollywoodiano) – rigorosamente in bianco e nero dentro sequenze piene di grazia che fanno sfilare, sia pure con i correttivi onirici, Jules e Jim, Il posto delle fragole, Il settimo sigillo, Otto e mezzo, Persona, Fino all’ultimo respiro, L’angelo sterminatore e l’eccezione americana Quarto potere – delizierà i cinefili, e costituisce la parte migliore del film. Ma le citazioni, che nella cinematografia di Allen sono un raffinato fiore all’occhiello, qui non sono solamente più esplicite ma destinate a compensare la fragilità della sceneggiatura.

Perché questa, ahinoi, è la sorpresa negativa, quasi inedita nel palmares del regista: una scrittura sciatta dei dialoghi, che quasi mai fanno ridere e tanto meno colmano quella ricerca di senso della vita su cui si interroga Rifkin, e per sua interposizione Allen. Sarebbe difficile diversamente, perché nelle conversazioni alternative alla vacuità degli scambi mondani ciascuno utilizza l’altro come analista (e del resto il film si apre con Mort che racconta la storia al suo terapeuta) davanti al quale far fluire il suo monologo. Le persone non si trovano mai, e neppure si cercano veramente, e questo è forse un disagio avvertito da Woody, che però questa volta non riesce ad esprimerlo dentro una mediazione artistica convincente.

Anche il personaggio principale, questa volta, è una scelta poco credibile, sbilanciata sul lato della goffaggine, e non sembra scelta (e dunque colpa) da ascrivere all’ottimo Wallace Shawn: ciò non toglie che la maestria nel dirigere tutti gli attori rimanga tuttora una peculiarità di Woody Allen.

La nostalgia, oltre che per i ritocchi dei film d’epoca, lo spettatore la proverà per il fervore della vita in una cittadina che si stringe intorno al suo festival culturale. Un buon augurio per l’uscita della pandemia, dunque: per i fedeli dell’immortalità di Woody Allen, allo stesso modo, è viva la speranza che questo film non segni ancora il suo declino ma rappresenti nulla più che un mini-lockdown creativo.

Rifkin’s festival

Woody Allen

Votazione finale

I giudizi

soli_4
Perfetto


Alla grande


Merita


Niente male


Né infamia né lode


Anche no


Da dimenticare


Terrificante

ombrelli_4
Si salvi chi può

Di |2022-01-07T11:20:34+01:0014 Maggio 2021|Il Nuovo Giudizio Universale|

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