La recensione del film
“Easy- un viaggio facile facile”

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Per chi, come me, ama i giochi di parole Easy costituisce subito un invito a nozze. Easy infatti è il soprannome di Isidoro, un giovanottone depresso, sedentario, dipendente dalla play station, consumatore massivo di pillole e patatine, ex campione di go kart e attuale obeso (le due ultime circostanze sono collegate perché dal circuito delle corse l’hanno silurato per la sua incapacità di stare nel peso): ma easy pare anche il compito che gli affida il fratello, riportare in Ucraina la salma di Taras, un operaio irregolare caduto da un’impalcatura in un cantiere edile. Cosa ci può essere di più facile, nonostante il passaggio di vari confini? Il fratello, che è l’imprenditore del cantiere, si leva il corpo e una grana, al paese regaleranno una cristiana sepoltura a Taras, Easy-Isidoro torna al volante che ricorda con trauma interiore e frustrazione ma è solo il volante di un carro funebre. Il comico delle parole, in Easy, viene a sua volta seppellito con il titolo. Il film viaggia invece alternato tra i silenzi del laconico protagonista e le conversazioni impossibili tra uomini che non hanno idiomi comuni per intendersi. Sbaglierebbe tuttavia chi pensasse che si tratta di un film povero espressivamente: al contrario, i silenzi di Easy, grazie alla magnifica interpretazione di Nicola Nocella (che vinse il Nastro d’Argento quale miglior attore esordiente del film di Avati, “Il figlio più piccolo”), rinforzano e incorniciano le parole altrui e anzi le numerose anime in pena che si sfogano con lui, introducendolo alle proprie intimità, si giovano delle parallele certezze di non essere compresi e di essere ascoltati. L’effetto comico e quello lirico sfociano naturalmente da quegli incontri collidenti e combacianti.

 

Il film è il più bislacco dei road movie, consistendo nel viaggio di un uomo e di un morto dentro una bara. Viaggio che, per via del furto della vettura funeraria, si realizza con mezzi improbabili, la bara issata sul tetto di un’utilitaria o trasformata in kayak e spesso trascinata da Easy come salisse sul Golgota con la croce. Il posto che deve raggiungere si chiama, dicono, allo stesso modo di altre centinaia e il viaggio diventa sempre più apparentemente inutile, rispondente solo alla necessità interiore di Easy di obbedire a un senso di dovere liberamente assunto e tanto più significativo e catartico (riscattante il suo fallimento di mancato pilota e mancato padrone del proprio quotidiano) quanto più è faticoso e meno congruo. Il morto in quanto morto non c’è quasi mai: oscilla tra la condizione di oggetto trasportato che trasmette la centralità narrativa della bara e la vitalità animistica dello spirito che gli riversa Easy quando gli si rivolge come si trattasse di un interlocutore paziente e consapevole. Emerge giusto quando capita a Easy di tirare fuori lo spiegazzato passaporto con la foto di Taras.

 

Lo stile registico adottato dall’esordiente Andrea Magnani, che ha presentato il film al festival di Locarno, si affida visivamente al campo lungo, lasciando Nocella e la sua bara dominatori dello spazio ma anche fotografando paesaggi naturali bellissimi che mancano completamente dalle nostre rotte di conoscenza. Magnani illustra sottilmente il passaggio dalla miseria un po’ squallida della vita rurale dell’est europeo all’incanto arcadico che essa riesce a ricomporre nella fusione di pochi elementi. Gli amanti del cinema riconosceranno nelle atmosfere stranianti la lezione di Kaurismaki, in certi momenti al limite del plagio espressivo. E’ questo un complimento per un regista che si abbevera alle fonti di un cinema molto diverso da quello della commedia italiana dell’equivoco, da parecchi anni (salvo Zalone e poco altro) logorato nei suoi canoni. Easy fa sorridere, e anche ridere, in un modo differente, potremmo dire slow se il termine non fosse inflazionato e se a questa lentezza (qualche volta un po’ eccessiva) non facesse da curioso contrappunto una colonna sonora folk pendente verso la forma balcanica alla Bregovic. Una nota di merito in più per il finale, molto gustoso scenicamente: riassumibile, dal punto di vista di Easy, nella considerazione che- come cantava Finardi in una canzone sulla droga- fuori c’è tutto un mondo da scoprire, e vale la pena esplorarlo, anche solo per esplorare e riscattare se stessi. E anche quando si rimane atterriti a domandarsi “E io adesso che faccio?”.

 

Easy

Andrea Magnani

Votazione finale

I giudizi

soli_4
Perfetto


Alla grande


Merita


Niente male


Né infamia né lode


Anche no


Da dimenticare


Terrificante

ombrelli_4
Si salvi chi può

Di |2020-09-11T15:16:37+01:0022 Settembre 2017|Il Nuovo Giudizio Universale|

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