Recensione del film Il corriere- The Mule

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Chi non metterebbe la firma per arrivare alla soglia dei novant’anni in condizioni vagamente affini a quelle di Clint Eastwood?

Classe 1930, il vecchio Clint firma la sua trentasettesima pellicola da regista e torna a recitare, mostrando ottimo smalto in entrambi i ruoli, oltre a conservare una certa presenza e una postura cui ambirebbero parecchi precoci sciatalgici.

Si è andato a cercare una storia che gli calzasse su misura in questa fase della vita. Come se non solo avesse ancora cose da dire, e voglia di dirle, ma avesse avvertito il bisogno interiore di filtrarle attraverso la sua interpretazione.

 

La storia di The Mule è tratta dalla cronaca, in senso letterale, cioè sviluppata da un ritaglio di giornale, una notizia che dava conto dell’arresto di un corriere della droga novantenne, arruolato in quanto insospettabile. Eastwood l’ha presa e- insieme allo sceneggiatore Nick Shenck, lo stesso di Gran Torino– fatta sua, a partire dal conio di un nome di finzione per il protagonista, Earl Stone, che suona come quello dei pistoleri che si riempivano di piombo nei film di Sergio Leone, anche se qui appella invece un pacifico e stimato floricoltore. Ditelo con i fiori? Non vale per i suoi familiari, che da dalie e azalee, ma soprattutto dal contorno mondano che accompagna l’attività di floricoltore high level, vengono lasciati ad appassire, dimenticati pure nei giorni di compleanni, anniversari e matrimoni della discendenza. Così, quando Internet cambia le regole del mercato, Stone, in piena vecchiaia, si trova a mal partito: ai margini della famiglia che ha trascurato (la figlia nemmeno gli rivolge verbo da dodici anni) e sfrattato dal suo capannone per via del fallimento commerciale. Ma ecco che gli arriva un’offerta inattesa dal cartello messicano, quella di consegnare carichi di droga, non solo perché a novant’anni chi vuoi che lo sospetti, ma perché non ha mai preso una multa e quindi è a basso rischio di essere fermato dalla polizia.

Earl diventa rapidamente il corriere più affidabile del team, anche se scompagina le regole militaresche scegliendo da solo strade, soste e tempi di percorrenza: si rimette economicamente in sesto e il lavoro sortisce persino un incomparabile effetto rilassante, insieme alle canzoni di Dean Martin che canta mentre guida spensierato. Accade però che il cartello passi sotto la direzione di boss meno tolleranti e buontemponi, e accade anche che quei doveri familiari, tanto aborriti nel passato, affiorino nella più desolante delle situazioni. Il tutto mentre un poliziotto tenace comincia a stringere intorno al traffico di droga a mezzo corriere. Specialmente intorno a quello sconosciuto, abilissimo corriere.

 

Prima le buone o prima le cattive notizie? Per rispetto di un mito del cinema partiamo dalla cattive e lasciamo le migliori più avanti. Non è che i dialoghi siano mai stati il fiore all’occhiello della grande cinematografia eastwoodiana. Qui arriviamo al disastro nella cerchia familiare. Quando tra loro gira bene sono un ciù-ciù-ciù tanto sdolcinato quanto impersonale, quando c’è tempesta farebbero più bella figura se si limitassero a digrignare i denti. Il tutto al servizio di una struttura psicologica dei personaggi (la famiglia specie, ma anche altri protagonisti) che limitarsi a definire superficiale è superficiale. Secondo la lezione di Sergio Leone, tuttavia, Eastwood continua a esprimersi al meglio in quella che definirei asciuttezza enfatica: sono quelle frasi lapidarie, epigrammatiche solo se inserite in quel contesto, quasi una punteggiatura del discorso. E’ anche grazie a questa dote che The Mule illumina con poche pennellate personaggi secondarissimi più di quanto ci riesca con i principali. Nel modo di interagire con il prossimo Stone non si trattiene da qualche uscita politicamente scorretta o da riflessioni sulla tecnologia banalmente senili: si capisce che Stone parla per procura del suo creatore. Viene a riproporsi, per le prime, l’eterna diatriba se Clint Eastwood sia infine un illuminato o un reazionario, a maggior ragione adesso che vive dietro un personaggio dal quale è meno smaccatamente separato (o non lo è affatto, salvo il lavoro con i fiori). Probabilmente è l’uno e l’altro, ma quel che conta è che l’antimanicheismo maturato nelle epopee western ne ha fatto un solido decostruttore di etichette sociali e un uomo (e artista) più che tollerante: diciamo pure benevolente e propenso a cercare quel che po’ di buono che c’è in ognuno. Gangster inclusi.

 

E poi, immutato, inossidabile, il caratteri esemplare del suo cinema: una trama lineare e serrata il cui sviluppo, sollecitato dal montaggio, rovescia un’urgenza sullo spettatore. Infine, mediante quell’asciuttezza enfatica di cui si diceva affidata al personaggio di Stone, affiora un calibrato pensiero sulla dignità personale, ormai costante del cinema di Eastwood cinema, e sul tempo che si rischia di perdere vanamente e sul quale si tirano le somme alla fine della vita: l’ultimo tema non tenta neppure di celare l’immedesimazione con il regista-attore, forse emotiva più che strettamente biografica. A noi, peraltro, Clint Eastwood ha regalato tanto tempo ben speso.

 

Il corriere- The Mule

Clint Eastwood

Votazione finale

I giudizi

soli_4
Perfetto


Alla grande


Merita


Niente male


Né infamia né lode


Anche no


Da dimenticare


Terrificante

ombrelli_4
Si salvi chi può

Di |2020-09-11T15:03:13+01:0019 Marzo 2019|Il Nuovo Giudizio Universale|

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