Recensione del film Border

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I nuovi mostri, se vogliamo dirla

metacinematograficamente. Il consenso ottenuto da Border (ha fra l’altro vinto a Cannes la sezione Un certain regard) viaggia probabilmente sulla scia della rifioritura dell’horror e del giustificato successo planetario de La forma dell’acqua: come se si stesse affermando un filone di teratologia d’animo gentile, che dopo gli illustri precedenti del cinema classico aveva felicemente attecchito solo nei cartoon (con la punta assoluta della serie di Shrek). Le premesse del film non sarebbero male. In primo luogo quelle culturali, data la grande tradizione scandinava nella letteratura fantastica e le creature mitologiche. E poi perché l’idea è accattivante e l’azione parte molto bene. Tina è una silenziosa donna d’aspetto neandertaliano che svolge egregiamente il suo lavoro di agente della dogana grazie al possesso di un’incomparabile dote olfattiva: riconosce gli odori delle emozioni. E quando si avvia verso l’uscita qualcuno che emana lezzo di paura, vergogna, bugia la sniffante Tina è pronta a farlo stoppare dai colleghi, che puntualmente reperiscono materiale compromettente. Tina vive con un fannullone che alleva cani rabbiosi (almeno in senso umorale) ma non ha con lui una vita sessuale compiuta a causa di un impedimento inizialmente non definito. Quando arriva a casa, Tina predilige passeggiare scalza nel bosco, dove le volpi e gli altri animali la guardano con fiducia. A scuotere questo tran tran transita un giorno per la dogana un personaggio con la stessa fisionomia di Tina, però parecchio più laido, inquietante e senza tabù alimentari. La scintilla scocca non soltanto per confermare l’adagio che chi si somiglia si piglia. Tra Tina e Vore c’è un’appartenenza più profonda che mette Tina improvvisamente davanti a una nuova versione della sua vita e della sua infanzia.

 

E bisogna fermarsi per non fare spoiler, anche se si tratta di un segreto di Pulcinella. Ma non è qui che il film si mostra carente nella capacità di stupire, che pure sarebbe obbligatoria in una pellicola di questo tipo. Domande del tipo: in che modo questi due faranno sesso? A chi capiterà presto una cosa brutta? Chi c’è dietro al traffico di pedofili che si agita sullo sfondo della storia? Cosa succederà alla fine? trovano nello spettatore minimamente pratico di sviluppi narrativi elementari ciascuno la sua risposta venti minuti prima che accadano. Insomma, un limite non da poco.

Glielo vogliamo perdonare perché è ideologicamente impegnato? Questa è in effetti l’aura che ha accompagnato l’uscita di Border. Tratta del diverso, dell’Altro, della violenza verso le minoranze che genera violenza, tratta- in aderenza al titolo- di confini tra umano e non, tra noi e loro, tra maschile e femminile. Bene. Non è un po’ tanto tutto insieme? Non fa un po’ mainstream culturale? Odio adoperare la parola “buonismo”, che funge di solito da franchigia etica per i fetenti che la sventolano: però l’impianto metaforico del film, o come minimo il modo in cui è stato letto, tira in quella direzione. Certi temi è meritorio affrontarli, ed è una finezza non farlo frontalmente. Però poi bisogna essere in grado di maneggiarli. Mi vengono mostrare due creature rappresentate quali vittime di un identico processo di violenza ed emarginazione, al quale hanno reagito in modo diverso, una (inconsapevole) con il tentativo di integrarsi e l’altro (consapevole) con l’odio e l’isolamento. Ci sarebbero modi diversi di definire quale esito interiore determini una condotta e quelle l’altra, e quelli scelti dal regista Ali Abbasi, danese di origine iraniana, non sono affatto coerenti con la presunta critica sociale. Né sulla visione morale è pensabile cavarne qualcosa di più dai dialoghi che oppongono i protagonisti perché i soggetti sono troppo fumantini e introversi, e rimangono infine incartati in un abbozzo (proprio un abbozzo, eh?) di discussione su umano, troppo umano.

 

La qualità migliore del film di Abbasi (tratto da un brevissimo racconto di Lindqvist) è l’estetica fotografica della ripugnanza. Coraggiosa è la scelta di sostituire gli effetti speciali con l’alternanza dei primissimi piani, che però alla lunga risulta un tantino ripetitiva. Tra gli attori meglio Eva Melander (Tina) di Eero Milonoff (Vore). Da segnalare due scene importanti nell’economia emotiva del film: una di brio post-coitale nel bosco con tuffo nel fiume di Tina e Vore e l’ultima che…non posso dirlo, ma insomma celebra un’intimità che dovrebbe oscillare tra lo schifo e la tenerezza. Su certe scene border line il commento musicale è tutto. Basta un nonnulla per farle pendere nello struggimento oppure nel ridicolo. E’ una scelta decisiva. E quando qui, in quelle due occasioni, si sente partire la colonna sonora viene da pensare: ma come si può essere così cretini?

 

Border

Ali Abbasi

Votazione finale

I giudizi

soli_4
Perfetto


Alla grande


Merita


Niente male


Né infamia né lode


Anche no


Da dimenticare


Terrificante

ombrelli_4
Si salvi chi può

Di |2020-09-11T15:02:07+01:005 Aprile 2019|Il Nuovo Giudizio Universale|

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