Recensione del film il cliente

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Nel film “Il cliente” c’è un gioco di specchi e rimandi fra la trama principale e il dramma di Arthur Miller, “Morte di un commesso viaggiatore”, che la coppia di protagonisti recita insieme a teatro.Il modo di sottolineare una certa affinità tra la crisi familiare che investe i due e le vicende dell’opera di Miller è elegante, ma anche un tantino manierista e didascalico.

In un gioco di affinità letterario mi pare più interessante notare l’attuale procedere comune del cinema iraniano e della letteratura israeliano, due delle forme artistiche più vive. In entrambe c’è il senso che un’opera consista nella sviluppo di uno o più dilemmi morali, inquadrati con  un certo rispetto dei punti di vista differenti, e l’idea che la famiglia sia il luogo ideale per descriverne il dipanarsi: infine, lo sconfinamento di quel dilemma nell’ambiente circostante e quindi il tentativo di affrontare la critica sociale, per così dire, di sbieco, ma con grande chiarezza.
Nella letteratura israeliana il più cristallino teorico e autore di quest’approccio è Abraham B. Yehoshua. Nel cinema iraniano (il cui sguardo sbieco dipende peraltro anche dalla censura di regime) è il regista Asghar Fahradi (del quale ricordiamo il bellissimo “La separazione”).

 

A seguito di un  cedimento strutturale dell’edificio in cui abitano, Emad e Rana devono cercare un alloggio e l’amico Bobak gliene offre temporaneamente uno suo, tacendo che la precedente inquilina era una prostituta. Una sera Rana, mentre è nella doccia, viene aggredita e ferita da uno sconosciuto, presumibilmente qualcuno che pensava di trovare in casa la donna di prima. Lei è traumatizzata, incapace di reagire e tuttavia rifiuta, per la vergogna, di denunciare l’episodio alla polizia. Il marito, che con lei sta mettendo in scena Miller a teatro e di giorno esercita con tolleranza e passione il mestiere di insegnante alle superiori, viene progressivamente investito dai tumulti di un senso dell’onore quasi ancestrale che la sovrastruttura laica e intellettuale non ha debellato. Così si getta sulle tracce del colpevole, mentre il senso di giustizia e lo spirito analitico vengono progressivamente sostituiti dallo spirito di vendetta e da un irrazionale infantilismo. Il percorso interiore della moglie è opposto, e quando si tratterà di decidere la sorte dell’aggressore, in un crescendo di tensione hitchcockiana, i due si troveranno sorprendentemente contrapposti.

 

Tornando allo sguardo di sbieco, il film è straordinario nel mostrare quanto sia lungo e sofferto, anche per il laico, liberarsi dell’eredità (del resto perpetuata nei costumi sociali) della repressione sessuale e dei suoi effetti psicologici. Se Rana accettasse di sporgere querela, così come Emad la esorta, la vicenda prenderebbe una piega differente. Ma, preclusa la strada di quel sistema istituzionale-razionale in cui Emad ha costruito la propria identità, è lui a perdere ogni punto di riferimento e a venire sepolto dal retaggio del tabù sessuale: da un lato egli è incapace di lenire l’angoscia della moglie colmando la distanza fisica propria del quotidiano intimo della coppia, dall’altra monta in lui l’insicurezza di tenere un profilo adeguatamente virile e possessorio agli occhi della comunità (e quindi l’obbligo di rintracciare e punire il violatore).

Fahradi è maestro nel modificare lo stato d’animo dello spettatore, che si trova a parteggiare per chi aveva odiato, soffrendo molto per l’inversione di ruoli tra vittima e carnefice e l’instabilità sentimentale che questa gli trasmette. I dialoghi serrati nella fase finale stringono in una morsa claustrofobica e al tempo stesso riproducono realisticamente la dinamica conversazionale mediorientale quando si sonda quanto sia “stretto” il rapporto per esplorarne il legame consociativo o, all’inverso, la via di fuga da una contingenza sgradita.

Shabab Hosseini (palma d’oro per l’attore a Cannes)  e Taraneh Alidoosti) sono interpreti impeccabili, Fahradi è sublime nei movimenti di macchina: indimenticabili quelli nelle scene iniziali, sulla fuga collettiva dal palazzo che sta cedendo. La ruspa in azione nel palazzo a fianco ( che immaginiamo probabile causa del danno e probabile abuso edilizio) e la crepa nel vetro oltre il quale si vede la ruspa sono, ancor più dell’accostamento con Miller, una metafora suggestiva della frizione tellurica tra la modernità e la tradizione.

 

Il cliente

Film

Votazione finale

I giudizi

soli_4
Perfetto


Alla grande


Merita


Niente male


Né infamia né lode


Anche no


Da dimenticare


Terrificante

ombrelli_4
Si salvi chi può

Di |2020-09-11T15:16:55+01:0017 Gennaio 2017|Il Nuovo Giudizio Universale|

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