Recensione del film “L’insulto”

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In Libano il problema di fare i conti con il passato è talmente grave da impedire a di fare i conti persino del presente. In uno dei paesi più divisi del mondo l’ultimo censimento risale al 1970,per occultare il possibile sorpasso dei musulmani sui cristiani, che determinerebbe una crisi del già precario e singolare equilibrio di poteri (le tre principali cariche dello stato sono assegnate di diritto a uno scita, un sunnita e un cristiano). Al tempo stesso, il Libano è il paese con la più alta proporzione di immigrati rispetto agli abitanti, addirittura 1 su 4. In Libano risiede una quantità cospicua di palestinesi, non nelle grazie di tutta la popolazione e in particolare invisi ai cristiano maroniti.

Dagli anni ’80 la convivenza, in quella che fu la “Svizzera del Medio Oriente” è collassata malamente, e un odio inestirpabile continua  a serpeggiare dai massacri nei campi profughi.

Su questo sfondo politico-sociale si sviluppa la trama de “L’insulto”, che parte da una vicenda futile e privata, la lite sul tubo di una grondaia fra Yasser, un capocantiere palestinese, e Toni, il cristiano proprietario di un balcone dal quale cola acqua. Toni sfascia a martellate il tubo che Yasser ha diligentemente sistemato e il secondo sbotta contro il primo: “Sei un cane” (offesa che in Medio Oriente suona più pesante che altrove). Il superiore di Yasser, per evitare rogne ai lavori, porta Yasser all’officina di Toni, che lavora in proprio come meccanico, esortandolo a chiedere scusa ma quando Toni lo incalza con odio etnico urlandogli che sarebbe stato bello se Sharon li avesse sterminati tutti dalla nascita, i palestinesi, gli rifila un cazzotto che frattura due costole. Da un susseguirsi di complicazioni, tutte ascrivibili a Toni, la moglie di costui, in cinta, subisce un parto cesareo che mette in pericolo la vita del prenato. Toni allora decide di trascinare Yasser in tribunale per ottenerne le scuse, che Yasser, pur addolorato per l’incidente occorso alla moglie, rifiuta di porgere. Certo, ciascuno è convinto di essere dalla parte ragione ma obiettivamente, uno è un spirito etico e fumantino e l’altro un perfetto imbecille, per giunta imbevuto della dottrina antipalestinese che respira ai comizi. La lite tuttavia sfugge di mano ai contendenti, strumentalizzati da avvocati e politici (più gli avvocati dei politici) che riescono a fare dell’episodio una faida nazionale, con i sostenitori dell’uno o dell’altro, ormai simboli identitari, pronti a cominciare una nuova guerra civile mentre in aula infuria un legal procedurale.

Il film è una bellissima lezione di storia. Non nel senso che è un bel film che insegna pure la storia. E’ proprio un laboratorio didattico, con un insegnante creativo che chiede a ogni studente di recitare una parte sul tema “Beirut. Che fare?” insieme a un paio di attori professionisti (l’ottimo Kamel El Basha, premio per il miglior attore a Venezia, e Adel Karam) simulando un processo, con quell’entusiastica approssimazione che ben si confà agli studenti, e facendo scorrere immagini di repertorio interrotte da sermoni didascalici. La causa retrocede nella vita dei personaggi ricca di colpi di scena biografico-processuali da far impallidire Perry Mason: una volta è un testimone paraplegico che, come in “Carramba che sorpresa”, ritrova l’aguzzino di trent’anni addietro senza che nessuno lo avesse avvertito prima, un’altra è un filmato d’epoca su una strage mai mandato in onda, uno scoop alla Minoli che l’avvocato d’accusa lascia scorrere sulle pareti del tribunale. Yasser e Toni, che al principio avevano almeno il pregio della caratterizzazione dei personaggi, diventano tipi astratti e nello sviluppo del film parlano e agiscono secondo modalità inassimilabili a una personalità coerente.

Il regista Ziad Doueri pennella le sue encomiabili intenzioni (ricostruzione storica, dilemmi morali) sopra la tela di un soggetto didascalico, un uso della camera scialbo e un montaggio piatto. L’ultima tappa della sua via crucis riguarda il finale. Il verdetto arriva, potrebbe far male, ma uno sguardo d’intesa ricuce le ferite meglio di qualsiasi sutura. Vabbè, ma quelli fuori che erano pronti a scannarsi? Si sa, nei laboratori didattici, quando suona la campanella ed è ora di tornare a casa, i ragazzi non li tiene più nessuno.

 

L’insulto

Ziad Doueiri

Votazione finale

I giudizi

soli_4
Perfetto


Alla grande


Merita


Niente male


Né infamia né lode


Anche no


Da dimenticare


Terrificante

ombrelli_4
Si salvi chi può

Di |2020-09-11T15:16:25+01:0022 Dicembre 2017|Il Nuovo Giudizio Universale|

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