Le cose che verranno

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Recensione del film

“Quale scopo volevi ottenere?” è una domanda che mi piacerebbe porre a Mia Hansen-Love, trenataseienne regista di “Le cose che verranno”. Rispondesse: : “Vincere l’Orso d’Oro per la regia” mi zittirebbe, visto che l’ha effettivamente vinto. Ma distaccandosi da questi aspetti materiali secondo me si sarebbe trovata in difficoltà, e non solo perché è sua abitudine nelle interviste, come nei film, restituire un’immagine rarefatta dei suoi obiettivi (cose tipo: cogliere l’invisibile, l’impalpabile, l’inessenziale). Sono i critici a individuare, attraverso il suo percorso la specificità: descrivere gli effetti del tempo che passa.

Il tempo de L’avenir (titolo originale) è quello del declino. La sessantenne Marie, insegnante di filosofia in un liceo a Parigi, nel giro di pochi mesi viene lasciata dal marito per un’altra donna, perde l’anziana madre, viene scaricata dalla casa editrice per la quale curava i manuali, accusata di essere una bobo dal prediletto ex allievo, votatosi alla teorizzazione anarchica e al ritiro agreste in una sorta di comune. Rovesci della sorte dove andava tutto bene? Mica tanto. Marie era già perennemente e nevroticamente sopra le righe, didascalica e dogmatica con gli studenti che pure asserisce di condurre a pensare liberamente, francamente insopportabile nell’interazione col marito, schiava dei disturbi senili della madre, insofferente a ogni discussione sulla didattica. Quando il mondo le crolla addosso, lungi dal farsene qualcosa delle meditazioni filosofiche (proferite sempre con un certo isterismo), racconta e si racconta pateticamente che finalmente è una donna libera invece che sola e ormai in deficit di ruoli sociali.

Non è un plot irresistibile, ma per iscriversi almeno nella poetica dell’inquietudine e dell’intimità richiederebbe un’atmosfera meno algida di quella che attraversa i rapporti e scolpisce i personaggi (ad eccezione della figlia di Marie). Manca il calore, ma non pare questo un risultato consapevole della regista, né tanto meno si legge un’intenzione profonda di critica sociale. Non si capisce se quell’occuparsi di filosofia ci debba apparire vano o edificante, e tutto sommato qualunque delle due conclusioni sarebbe puerile. C’è uno scontro fra titani, a un certo punto, tra i responsabili di marketing della casa editrice, che vogliono fare della grafica manualistica una replica dei manga, e il rigore ottuso di Marie, e anche in quel caso non si capisce se farcela vedere con Adorno in mano voglia suonare quale testimonianza umanista o invece scherno della Scuola di Francoforte. Del resto, lei ha la bella pretesa che quelli stampino in perdita e intanto si indigna di dover pagare i libri dell’editore, sia pure a metà. Non che il marito sia meglio. Il suo biglietto d’addio contiene il reclamo di non avere trovato in libreria il “Mondo come volontà e come rappresentazione” e quando lo riceverà un anno dopo si entusiasma perché si potrà tornare a immergere nella sue pagine. E comprarsene un’altra copia, intanto? (ma si sa che è questa tirchieria affligge  a volte i docenti- per lo più gli universitari- e la quasi totalità dei recensori). Insomma, quei begli scaffali pieni di Levinas e Buber un po’ fanno allegria ma un po’ paiono uno spreco.

Isabelle Huppert rende la scena con carisma, ma la rigidità di Marie le calza sin troppo bene. Certe inquadrature e l’uso della camera a mano sono sapienti, il montaggio pulsante, la fotografia grata allo splendore dei paesaggi della Bretagna (dove la coppia aveva una casa). Nel legame fra lo stile complessivo e la struttura dei dialoghi  si avverte, come nei precedenti film della Hansen-Love, il modello di Rohmer, e più in generale la volontà di riprendere il filo con il film francese d’essai: senza però evitare di scivolare nella maniera. Anche per chi, come me, ama il cinema francese verrebbe voglia di dire alla pellicola: Dio, sei così francese. E non con il tono di un complimento.

Le cose che verranno

Mia Hansen-Løve

Votazione finale

I Giudizi

soli_4
Perfetto


Alla grande


Merita


Niente male


Né infamia né lode


Anche no


Da dimenticare


Terrificante

ombrelli_4
Si salvi chi può

Di |2020-09-11T15:16:46+01:0028 Aprile 2017|Il Nuovo Giudizio Universale|

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