Silenzio e rumore

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“Storia e pratica del silenzio” estratti dal paragrafo “Il rumore come simbolo del moderno”

La tecnologia ha incamerato tra i suoi compiti la riduzione del rumore. Ogni condizionatore o frigorifero è più silenzioso del modello precedente. Su larga scala, la smart city promette di eliminare i movimenti inutili, e per questa via arreca decremento sonoro. Le aziende hanno scoperto quanto improduttivo fosse allevare come polli in batteria i dipendenti nei distraenti open space. Il marketing propone un prosperoso mercato del silenzio nel quale brillano cuffie antirumore a cancellazione attiva, che con un microfono captano le onde sonore in arrivo e tramite minialtoparlanti emettono onde di frequenza opposte che in buona parte le annullano, in nome della legge rumore scaccia rumore. Macchine del sonno da comodini riproducono rumore bianco per contrastare quello del traffico. Il silenzio è uno dei grandi benefit promessi per le vacanze estive, e si avvia a superara la richiesta di frastuono vitalizzante. Persino le discoteche introducono la forma contaminata dei silent party, che confinano la musica nelle cuffie indossate dai danzanti. Il saldo connubio tra rumore e modernità sembra avere imboccato la strada del tramonto. Alla fine l’avamposto più coriaceo è la stanza ospedaliera, che dai 55 decibel (già sforanti dai 35 prescritti) è passata in vent’anni a 72, a causa dei ventilatori, degli apparecchi di monitoraggio, dei letti elettrici ospedalieri, delle pompe infusionali. La rituale domanda del primario in corsia: “Come si sente oggi?” rischia ormai di essere fraintesa.

Il silenzio, quindi, non corrisponde affatto a un’assenza di stimoli. Prima a scoprirlo, in un caso di serendipity, fu nel 2006 l’equipe di Luciano Bernardi, che si era posto l’obiettivo di indagare in che modo il cervello reagisca agli stimoli musicali (detto di passaggio, scoprì che le reazioni si apparentano per velocità della musica e non per generi). La vera sorpresa fu che l’effetto di rilassamento non proveniva direttamente dalla musica – che coincide piuttosto con l’arousal – ma dalla pausa tra i suoni.

Qualche anno dopo il biologo Imke Kirste studiò gli effetti di alcuni suoni sulla neurogenesi dei topi, e l’unico che ne produsse a lungo termine fu il silenzio. Più precisamente (e salvo l’assenza per ora di una convalida sugli uomini) basterebbero due ore di silenzio al giorno per promuovere una crescita consistente del numero di cellule nell’ippocampo. L’ipotesi avanzata dai ricercatori è che l’assenza di rumore venga percepita come preludio a una situazione problematica imminente, e per questo stimoli la neurogenesi. Il cervello, insomma, considera il silenzio un fenomeno poco naturale e se ne lascia influenzare positivamente o perché sospetta che dietro sia pronta la fregatura o per godere dell’alternanza con un suono eccitante.

Di |2020-09-11T15:17:28+01:0026 Settembre 2019|Storia e pratica del silenzio|

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