L’omicidio nel sottomarino (No fiction)

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Il caso Peter Madsen. L’uomo che costruiva missili e la giornalista decapitata

L’imputato dice che non si capisce quale sia il problema nell’averla fatta a pezzi, visto che era già morta.

E anche.

L’imputato dice che non gli sembra il caso di scendere nel dettaglio del modo in cui è morta la giornalista perché non vuole offendere la sensibilità della famiglia, che è presente in aula.

E’ iniziato l’8 marzo 2018, nel giorno di festa della donna, il processo per omicidio a Peter Madsen, un geniale e popolare ingegnere danese. Si tratterebbe del primo omicidio consumato in un sottomarino privato.

Chi lo conosceva dice che il suo successo con le donne lo doveva a quel dettaglio tanto originale: invitarle sul suo sottomarino.

 

L’11 agosto Madsen sbarca con un completo kiwi e pesanti stivali neri dalla barca che lo ha soccorso dopo il naufragio nello stretto di Oresund, al confine con la Svezia, del suo sottomarino (il quarto costruito nella vita, il più grande artigianale privato, diciotto metri), il “Nautilus”. “Sto benissimo” assicura.

E la giornalista, Kim Wall, che era salita con lui per intervistarlo? E chi lo sa? dice Madsen. L’ho fatta scendere e non ne ho più saputo nulla.

 

Kim Wall è una giornalista di trent’anni, una free-lance con collaborazioni importanti, dal New York Times al Guardian. E’ appassionata dei soggetti estremi.

Si è occupata dei “queer asiatici” a New York, che racchiudono varie eterogeneità sessuali.

Si è occupata dei furries nel mondo, quelli che si vestono da animali pelosi e ne assumono in qualche modo l’identità.

Si è occupata dei riti voodoo ad Haiti. “E’ quasi luna piena” scrive “ e attratti dalla musica e dalla bellezza di tutto questo gli spiriti Iwas cominciano ad arrivare”.

Un pomeriggio sta passeggiando con il suo fidanzato: lei è svedese ma di confine con la Danimarca, ed è vicino casa. E’ in vacanza, ma la sua attenzione viene attratta da un missile che si trova sopra il sottomarino.

E’ il missile Alpha. Dovrebbe essere testato da un momento all’altro.

 

Peter Madsen ha da tempo due pallini: esplorare le profondità marine ed esplorare lo spazio.

Per la prima passione costruisce sottomarini. Per la seconda missili.

Insieme a un vecchio collaboratore della Nasa fonda una società, “Copenaghen Suborbitals”, con l’ambizione di essere lanciato a oltre 100 chilometri d’altezza.

Nel 2013 arrivano lanciano un missile a otto metri. L’anno dopo Madsen, un caratteraccio dicono, decide di proseguire l’impresa da solo. Annuncia i progressi sul suo blog, a beneficio dei fan, alcuni dei quali lo hanno sostenuto con il crowdfounding.

Madsen si è procurato diversi sostenitori personali nella scena alternativa danese da una quindicina d’anni, quando cominciò a ospitare feste sul suo sottomarino. E accadeva, ad esempio

che si ascoltassero le musiche elettroniche in cui utilizzava pezzi meccanici e ingegneristici, come il motore di un jet, oppure

che sull’hangar radunasse, oltre agli invitati, dei piccoli robot connessi fra loro da una catena di comandi oppure

che si sparassero contro il muro da uno dei suoi cannoni gli smartphone e gli mp3 per distruggerli.

 

Kim Wall vede il sottomarino e ha l’intuizione del pezzo. Lo propone a Wired, che accetta.

Raccoglie le informazioni su “Copenaghen Suborbitals” e poi richiede l’intervista. Sale per mezzora sul Nautilus, e ne discende con l’invito di Madsen a fare un giro, il 10 agosto,  e a proseguire la conversazione.

Era in programma un party di arrivederci dopo la sua rimpatriata, ma pazienza. Peccato perché dopo non ci sarà più tempo. L’11 deve partire per Pechino.

 

Peter Madsen aveva sei anni quando i suoi genitori si separarono. Venne affidato al padre, che di anni ne aveva 69, 36 più della madre.

Proprietario di un pub, avrebbe voluto fare di meglio nella vita. A Peter parla sempre dell’Apollo e del Titanic, e del suo mito personale, l’ingegnere nazista Wernher Von Braun.

Pare fosse severo. Mi sentivo come in un campo di concentramento, disse Peter.

Gli svaghi di Peter non erano comuni. A sette anni fabbricò l’idrogeno nella cucina di casa.

 

Madsen, dopo qualche giorno, ammette che Kim Wall è morta sul suo sottomarino. Un incidente. Per errore lui le ha fatto cadere in testa un portellone di settanta chili. Cosa ne sai di quello che può capitare su un sottomarino. Poi ha gettato il corpo in mare, per paura.

Il 21 agosto in una spiaggia a sud di Copenaghen un ciclista trova un busto di donna attaccato a un pezzo di ferro. Il test dal dna conferma che è quello di Kim Wall.

Il 6 ottobre i sommozzatori trovano in un sacco sul fondo la testa e gli arti, rigorosamente separati.

Il corpo presenta segni di quattordici coltellate.

Madsen offre la sua spiegazione. E’ vero l’ha fatta a pezzi lui, sempre per evitare l’imbarazzo di una morte a bordo. C’è stata una depressurizzazione della cabina. C’è stata la fuga di un gas tossico. C’è stato sa il diavolo cosa (l’avvocato gli consiglia di non insistere con le giustificazioni) certo è che era morta.

Quando lei è salita, prima che il sottomarino si immergesse, un uomo su una nave da crociere scatta una foto che li ritrae sorridenti.

 

Sull’hard disk di Madsen la polizia trova filmati di donne strangolate, bruciate e decapitate.

Dalla cronologia dello smartphone risultano le ricerche di Masden prima che Kim Wall salisse a bordo: “decapitazione”, “donna”, “agonia”.

Qualche settimana prima, a un’amante, aveva descritto proprio la scena di quel che sarebbe accaduto.

 

“Voi mi avete attaccato. Siete venuti a violare un segreto che nessun uomo al mondo deve penetrare, il segreto di tutta la mia esistenza. E credete che io possa farvi tornare in terraferma, dove nessuno mai deve conoscermi più? Mai. Trattenendovi non custodisco voi quanto me stesso”.

(Il Capitano Nemo sul Nautilus, da “Ventimila legne sotto i mari”).

 

L’orrore dell’UC3 Nautilus, il nome completo della barca, eccede evidentemente la dimensione sessista.

Sessisti sono invece i commenti giornalistici che definiscono Kim Wall prevalentemente “la bella giornalista”, come se avesse qualche rilevanza.

Ma non è sospetto che sia salita da solo a bordo, si chiedono? Altra domanda sessista, trattandosi di una giornalista.

I media danesi a settembre lanciano in libreria una serie a puntate con i dettagli macabri del delitto. La pubblicazione viene sospesa per l’interdizione giudiziaria.

 

Una collega di Kim Wall su Wired vuole ricostruire la storia e scrive a Peter Madsen in prigione proponendogli un’intervista.

Lui le risponde che si annoia molto. Il momento migliore è stato poche sere prima, quando ha visto Terminator 2.

Chi sei? le domanda nella sua lettera di risposta. Una persona che vuole capire? Un Terminator che vuole annientarmi? Chiunque tu sia ti aspetto. Sei la benvenuta.

Di |2020-09-11T15:16:20+01:0016 Marzo 2018|Lo Storiopata|

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