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Capitolo dodici: Gosselin

Di |2020-09-11T15:16:41+01:003 Luglio 2017|Istruzioni per non morire|

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Il trailer del capitolo

Musica consigliata per la lettura del dodicesimo capitolo: Adagio in sol minore (Tomaso Albinoni)

In realtà di selvatico Laurent non aveva proprio nulla, tranne sul comodino la cicoria in tisana che l’erborista continuava a indicare come la panacea di quel male che lo stava logorando. E siccome Laurent non era selvatico, e non amava contraddire il prossimo, annuiva sempre quando l’erborista, con il suo vocione da opera buffa, gli diceva: “La vedo proprio meglio, signor Gosselin. Cosa le dicevo che quella tisana è miracolosa? Gliene ne do un altro pacchetto?”. Era veramente troppo amara e Laurent si era stancato presto di berla, ma gli pareva offensivo verso l’erborista buttarla via, e così ne ammonticchiava i pacchetti nella dispensa, salvo uno fisso sul comodino che assunse come talismano, una volta ripulita la stanza di tutte le reliquie cattoliche che, con la morte improvvisa di Marie-Pie, si erano dimostrate millantatrici.

 

Didier, da un paio d’anni, viveva in una stamberga nella banlieu, in compagnia di una ragazza che riusciva a racimolare un minimo di denaro per entrambi. Era soprattutto per lasciare qualche soldo a lui che Gosselin aveva accettato di farsi introdurre le sonde della app, e Roberto si era sentito di compiere una buona azione proponendoglielo. Laurent aveva chiesto uno smartphone a Roberto per seguire anche lui i messaggi che il corpo in decomposizione trasmetteva sullo schermo. Il primo giorno disse a Roberto, per telefono, che da tempo non aveva provato nulla di tanto eccitante. Che delle cellule necrotiche potessero animare un baraccone fieristico scomponendosi in suoni, luci e colori gli sembrava un prodigio della natura della portata di un arcobaleno, e che fossero sue, poi, era meraviglioso. Quando Roberto entrò, e non ci fu bisogno di bussare perché Laurent aveva preso l’abitudine di tenere accostata la porta sul cortile, Laurent sedeva curvo sull’unica poltrona di casa, una consunta pelle marrone le cui molle sembravano pur’esse annegate nel lago delle metastasi. Restituiva, nella penombra, l’impressione di un asparago immerso nell’acqua bollente. Sollevò appena il capo verso Roberto e poi si chinò sul display del telefonino che gli tremava tra le mani e rifletteva le proiezioni digitali della sua malattia sopra le vene del collo. (altro…)

Capitolo undici: I malati

Di |2020-09-11T15:16:41+01:002 Luglio 2017|Istruzioni per non morire|

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Il trailer del capitolo

Musica consigliata per la lettura del undicesimo capitolo: Soweto sorrow (Romano, Sclavis & Texier)

  

“Lilith, non posso rientrare a casa ed è necessario che te ne tenga lontano anche tu”

“Cosa succede?” ribattè dall’altro lato del filo una voce chiaramente turbata.

“E’ un po’ complicato da spiegare adesso. Non è niente che non si possa risolvere ma ho bisogno di un giorno di tempo. Ti fidi di me?”

“No, naturalmente”

“Non ha importanza, fa come ti ho detto. Raccogli le cose che ti servono per passare fuori la notte, e anche la giornata di domani, ed esci appena puoi”

“E dove vado?”

“Non so, potresti chiedere il favore a…” la frase rimase tronca. E’ chiaro che, chiunque avessero coinvolto, si sarebbe allargato il giro delle persone cui dare spiegazioni.

“Ma poi vieni anche tu?” disse Lilith riempiendo la pausa.

“Dove?”

 

Quell’immersione nella consapevolezza di sé, di fronte alla figlia inconsapevole, lo rendeva nudo, umiliato, fragile. Avrebbe voluto, in una rigenerante inversione di ruoli, cercare conforto e riparo nel suo grembo, nel suo sterno di volatile, sotto le sue ali d’aquilotto, sotto la tenda canadese della sua gonna dalla vita stretta, e lì, bambino, implorare il perdono della sua bambina che così malamente aveva allevato. Chiederle quale balordo, quale mezzo tossico, quale spiantato, quale puttanella, quale randagio, quale scorpione a dorso di rana, quale latte scremato, quale tronco abbattuto, quale lendine morta, quale crosta ammuffita era il suo confessore, la sua boa, la sua cassetta di sicurezza, e chiederle il permesso, lui, quel falso d’autore di padre, quell’ascensore bloccato tra i piani, quell’orma sulla sabbia che il ghibli stava cancellando, di interpellare il suo confidente, di inginocchiarsi al confessionale, di attaccarsi alla boa, di scendere nel caveau della banca, e domandare infine, tu che certo vali più di me, sapresti indicarmi come potrei giustificare che voglio continuare a vivere? (altro…)

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