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Open space2020-09-11T15:17:11+01:00

Questa sezione raccoglie in primo luogo le “aperture” del sito che sono quasi sempre progetti a partecipazione collettiva esterna. Trovate inoltre le auto-presentazioni di altri siti web (oppure dei post trasposti dai medesimi). Sono quelli che, ritenendoli per qualche ragione interessanti, ho contattato con una proposta: scambiarsi uno spazio per una settimana, con la dichiarata utilità di farci conoscere dai reciproci pubblici e il più largo proposito di indirizzare i navigatori del web verso promotori culturali. Infine, può capitare di trovare in Open Space qualche intervento esterno non inquadrabile in altre sezioni e che però mi intrigava ospitare.

Estratto da “Gli ultimi giorni dell’umanità” di Karl Kraus

Libri usati

O che si dovrebbero usare. Brevi passi da sottolineare, a volte da percorrere.

LA SCHALEK (entra e si guarda intorno): Di tutti i problemi di questa guerra, quello che più mi interessa è il problema dell’ardimento personale. Prima della guerra ho meditato spesso sull’eroismo, giacché ho conosciuto parecchi uomini che giocavano d’azzardo con la vita: cowboy americani, pionieri delle giungle e delle foreste vergini, missionari del deserto. Ma il più delle volte erano anche figure d’eroi, coi muscoli tirati, scolpiti per così dire nel bronzo. Come sono diversi gli eroi che incontriamo oggi in questa guerra mondiale. È gente che ama le barzelletto più innocenti, che ha una tacita passione per la cioccolata con la panna e nello stesso tempo ha da raccontare esperienze tra le più straordinarie della storia dell’umanità. Eppure… l’ufficio stampa militare è installato su un vapore in disarmo ancorato in una baia. La sera si banchetta, ci si diverte a suon di musica; se chiudi gli occhi… quasi sogneresti di trovarti ancora a un’allegra serata del circolo ufficiali. Be’, sono curiosa di vedere se questo sottotenente di vascello… ah eccolo! (entra il sottotenente) Non ho molto tempo, sia breve. Lei è bombardiere, che sensazioni le dà questo fatto?

SOTTOTENENTE: Di solito incrociamo una mezz’oretta sulla costa nemica, sganciamo qualche bomba sugli obiettivi militari, guardiamo come esplode, fotografiamo lo spettacolo e poi via a casa.

LA SCHALEK: E mai stato in pericolo di morte?

SOTTOTENENTE: Sì.

LA SCHALEK: Che cosa ci ha provato?

SOTTOTENENTE: Che cosa ho provato?

LA SCHALEK (a parte): Mi squadra con una certa diffidenza, cerca di valutare, senza quasi rendersene conto, se sono in grado di comprendere certe crudezze. (a lui) Noi non combattenti ci siamo fatti in materia di coraggio e di viltà delle idee così stereotipate che l’ufficiale di fronte ha sempre paura di trovarci insensibili all’infinita gamma di sensazioni che in lui si alternano continuamente. Ho indovinato?

SOTTOTENENTE: Come? Lei non è combattente?

LA SCHALEK: Non si scandalizzi. Lei è un combattente e io voglio conoscere le sue sensazioni. Soprattutto, come si sente dopo?

SOTTOTENENTE: Sì, è strano. Mi sento come un re che di colpo è diventato uno straccione, voglio dire: ti senti quasi come un re quando ti libri in alto, irraggiungibile, su una città nemica. Quelli di sotto se ne stanno indifesi… in tua balìa. Nessuno può scappare. Nessuno può salvarsi o ripararsi. Ogni cosa è in tuo potere. C’è un che di maestoso, tutto il resto scompare, qualcosa di simile deve averlo provato Nerone.

(…)

LA SCHALEK: Non è quello un uomo semplice, un anonimo? Quello saprà dirmi con parole sue di cosa è fatta la psicologia della guerra. Il suo compito è tirare il cordino del mortaio – sembra una cosa semplice, eppure quali imprevedibili conseguenze, sia per il nemico tracotante, sia per la patria, sono legate a questo momento! Ne sarà consapevole? Sara spiritualmente all’altezza di questo compito? Certo, quelli che se ne stanno a casa, del cordino non sanno altro se non che rischia di venire a mancare, neppure immaginano quali eroiche possibilità di schiudano all’uomo semplice al fronte, che tira il cordino del mortaio (si rivolge al cannoniere) Mi dica dunque, quali sensazioni prova quando tira il cordino? (il cannoniere la guarda stupito) Che pensieri le vengono, allora? Guardi, lei è un uomo semplice, un anonimo, ma deve — (il cannoniere tace, sconcertato) Voglio dire, che cosa pensa quando spara col mortaio, deve pur pensare qualcosa, cosa pensa in quel momento?

CANNONIERE: (dopo una pausa in cui ha squadrato la Schalek da capo a piedi): Proprio niente!

LA SCHALEK (allontanandosi delusa): E questo sarebbe un uomo semplice! Io quest’uomo semplicemente non lo nomino! (procede lungo il fronte)

By |15 Aprile 2022|Categories: Open space|Tags: |

Altro che smart working. Estratto da “Viaggio al termine della notte” di Louis-Ferdinand Céline

Libri usati

O che si dovrebbero usare. Brevi passi da sottolineare, a volte da percorrere.

“Non vi serviranno a nulla i vostri studi qui, ragazzo mio! Voi non siete venuto qui per pensare, ma per fare i gesti che vi si comanderà di eseguire… Non abbiamo bisogno di immaginativi nell’officina. L’è di scimpanzè che abbiamo bisogno… Un consiglio ancora. Non parlate mai più della vostra intelligenza! Ci saranno altri che penseranno per voi! Tenetevelo per detto.”

Aveva ragione d’avvertirmi. Era meglio che sapessi come regolarmi sulle abitudini della casa. Di stupidaggini, n’avevo già abbastanza al mio attivo e per dieci anni almeno. Ci tenevo a passare ormai per un essere insignificante. Una volta rivestiti, fummo divisi in file che si strascicavano, per gruppi esistenti inviati di rinforzo verso quei luoghi da cui arrivava il fracasso enorme dei meccanismi. Tutto tremava nell’immenso edificio e anche noi, dai piedi all’orecchie posseduti da quel tremore, le scosse venivano dai vetri e dal pavimento e dalla ferraglia, vibrate dall’alto in basso. Si diventava macchine per forza e con tutta la propria carne ancor tremante in quel rumore di rabbia enorme che prendeva il didentro e il giro della testa e più in basso agitava le trippe e risaliva agli occhi in leggeri colpi precipitati, infiniti, continui. A misura che s’avanzava, perdevamo dei compagni. Si faceva loro un sorrisetto lasciandoli come se tutto quel che succedeva fosse pura cortesia. Non si poteva più né parlare né sentire. Ne rimanevano ogni volta tre o quattro intorno a una macchina.

Si resiste lo stesso, s’ha difficoltà a disgustarsi della propria sostanza, si vorrebbe poter arrestare tutto per poter riflettere e sentire in sé il cuore battere facilmente, ma ormai non è più possibile. Non può più finire. È come una catastrofe quell’infinita scatola d’acciaio e noi si gira dentro con le macchine e con la terra. Tutti insieme! E le mille rotelle e i piloni che non cascan mai e con essi dei rumori che vi schiacciano gli uni contro gli altri e certo così violenti che scatenano intorno a sé come delle specie di silenzi, che vi fanno un po’ di bene.

By |18 Marzo 2022|Categories: Open space|

Se ogni secondo si ripete. Estratto da Milan Kundera, “L’insostenibile leggerezza dell’essere”

Libri usati

O che si dovrebbero usare. Brevi passi da sottolineare, a volte da percorrere.

Se ogni secondo della nostra vita si ripete un numero infinito di volte siamo inchiodati all’eternità come Gesù Cristo alla croce. È un’idea terribile. Nel mondo dell’eterno ritorno, su ogni gesto grava il peso di un’insostenibile responsabilità. Ecco perché Nietzsche chiamava l’idea dell’eterno ritorno il fardello più pesante.

Se l’eterno ritorno è il fardello più pesante, allora le nostre vite su questo sfondo possono apparire in tutta la loro meravigliosa leggerezza.

Ma davvero la pesantezza è terribile e la leggerezza meravigliosa? Il fardello più pesante ci opprime, ci piega, ci schiaccia al suolo. Ma nella poesia d’amore di tutti i tempi, la donna desidera essere gravata dal fardello del corpo dell’uomo. Il fardello più pesante è quindi allo stesso tempo l’immagine del più intenso compimento vitale. Quanto più il fardello è pesante, quanto più la nostra vita è vicina alla terra, tanto più è reale e autentica.

Al contrario, l’assenza assoluta di un fardello fa sì che l’uomo diventi più leggero nell’aria, prenda il volo verso l’alto, si allontani dalla terra, dall’essere terreno, diventi solo a metà reale e i suoi movimenti siano tanto liberi quanto privi di significato.

Che cosa dobbiamo scegliere, allora? La pesantezza o la leggerezza?

Estratto da Milan Kundera, “L’insostenibile leggerezza dell’essere”

By |4 Marzo 2022|Categories: Open space|

Ma solo i bambini? Estratto da “Lo sviluppo sociale del bambino” di Jean Piaget

Libri usati

O che si dovrebbero usare. Brevi passi da sottolineare, a volte da percorrere.

“Il soggetto afferma sempre e non dimostra mai”

Un aspetto colpisce nel pensiero del bambino piccolo: il soggetto afferma sempre, e non dimostra mai. Notiamo d’altra parte che questa carenza della prova deriva naturalmente dai caratteri sociali della condotta in quell’età, cioè dall’egocentrismo concepito come mancanza di differenziazione fra il proprio punto di vista e quello degli altri. È infatti esclusivamente nei confronti degli altri che si è portati a cercare prove, mentre a sé si crede sempre subito, almeno sino a quando gli altri ci abbiano insegnato a discutere le obiezioni, e di conseguenza si sia interiorizzata tale condotta in quella forma di discussione interiore che è la riflessione. Quando si interrogano bambini al di sotto dei sette anni si è sempre colpiti dalla povertà delle loro prove, dalla loro incapacità a motivare le proprie affermazioni, e persino dalla difficoltà che provano nel ritrovare retrospettivamente come vi siano giunti. Allo stesso modo, dai quattro ai sette anni, il bambino non sa definire i concetti che usa, e si limita a indicare gli oggetti corrispondenti e a definirli secondo l’uso (“serve a”), ciò a causa della duplice influenza del finalismo e della difficoltà di giustificazione.

Jean Piaget, estratto da “Lo sviluppo sociale del bambino”

By |18 Febbraio 2022|Categories: Open space|

Credere per abitudine. Estratto da “Pensieri” di Blaise Pascal

Libri usati

O che si dovrebbero usare. Brevi passi da sottolineare, a volte da percorrere.

“… perchè non bisogna disconoscerlo: noi siamo automatismo altrettanto che spirito. Strumento di persuasione non è solo la dimostrazione. Quante poche son le cose dimostrate. Le prove convincono solamente l’intelletto. L’abitudine genera le prove più efficaci e più credute: piega l’automa, il quale trascina l’intelletto senza che questo se ne renda conto. Su quali dimostrazioni riposa la nostra convinzione che domani tornerà a splendere il sole, o che un giorno moriremo? Eppure, c’è cosa più fermamente creduta? Dunque, è l’abitudine a persuadercene, ed è lei a fare tanti cristiani, a fare i turchi, i pagani, i mestieri, i soldati eccetera. Bisogna perciò ricorrere a essa quando l’intelletto abbia veduto dov’è la verità, al fine di abbeverarci e di impregnarci di questa credenza, che in ogni momento ci sfugge: perché averne sempre presenti le prove è troppo arduo. Bisogna acquisire una credenza più agevole, quella dell’abitudine: che senza violenza, senz’arte, senza argomentazioni, ci fa credere delle cose e inclina verso questa credenza tutte le nostre facoltà, di modo che la nostra anima ci cade naturalmente. Quando si crede soltanto per convinzione razionale, ma l’automa tende a credere l’opposto, non basta. Bisogna dunque che tutte e due le parti di noi stessi credano: l’intelletto per opera delle ragioni, che basta aver conosciute una volta: e l’automa, per mezzo dell’abitudine, e impedendogli di inclinare verso il contrario.”

By |28 Gennaio 2022|Categories: Open space|

Alexis de Tocqueville, La democrazia in America

Libri usati

O che si dovrebbero usare. Brevi passi da sottolineare, a volte da percorrere.

Confesso che è molto difficile indicare la maniera di svegliare un popolo che dorme per dargli le passioni e la cultura che non ha; persuadere gli uomini che essi devono occuparsi dei loro affari è, se non m’inganno, un’impresa assai ardua. È spesso meno difficile interessarli ai particolari di etichetta di una corte che non alla riparazione della casa comune.

Ma io penso anche che, quando l’amministrazione centrale pretende sostituire completamente il concorso libero dei primi interessati, si sbagli o voglia ingannarvi.

Un potere centrale, per quanto lo si possa immaginare civile e sapiente, non può abbracciare da solo tutti i particolari della vita di un gran popolo; non lo può perché un simile lavoro eccede le forze umane. Quando vuol creare e far funzionare, con le sue sole cure, tanti elementi disparati o si contenta di un risultato molto incompleto, o si esaurisce in inutili sforzi.

(…)

L’accentramento riesce senza fatica a imprimere un’andatura regolare agli affari correnti; a regolare sapientemente i particolari della polizia sociale; a reprimere i leggeri disordini e i piccoli delitti; a mantenere una società in uno statu quo che non è propriamente né decadenza, né progresso; a intrattenere nel corpo sociale una sorta di sonnolenza amministrativa che i governanti sono abituati a chiamare buon ordine e tranquillità pubblica.

In una parola esso eccede nell’impedire, non nel fare. Quando si tratta di muovere rapidamente la società o di imprimerle un cammino più rapido, la sua forza l’abbandona. Per poco che le sue misure abbiano bisogno del soccorso degli individui, si resta sorpresi allora della debolezza di questa immensa macchina che d’un colpo si trova ridotta all’impotenza. Avviene talvolta allora che l’accentramento tenti, in mancanza di meglio, di chiamare i cittadini in aiuto; ma ecco cosa dice loro: “Voi agirete come io vorrò. Voi vi incaricherete di questi particolari senza aspirare a dirigere l’insieme; lavorerete nelle tenebre e giudicherete più tardi la mia opera dai suoi risultati”. Ma non a questo modo si ottiene il concorso della volontà umana, la quale ha bisogno di essere libera nei suoi movimenti e responsabile delle sue azioni. L’uomo è così fatto, che preferisce restare immobile piuttosto che camminare senza indipendenza verso una meta che egli non conosce.

Estratto da Alexis de Tocqueville, La democrazia in America

By |19 Febbraio 2021|Categories: Open space|
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