Dieci personaggi della letteratura che se la cavano bene a letto

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In ordine ascendente di classifica

  1. Rubens (L’immortalità, Milan Kundera). Appena prima delle sue nozze viene colto dalla nostalgia struggente della sua amante, che supplica vanamente di tornare con lui. Torna sconfitto il mattino delmatrimonio, si ubriaca durante il banchetto, giace a letto a celebrare lo sposalizio e ha ancora la testa da quell’altra parte. E così, nell’apoteosi del coito, gli scappa di sussurrare nell’orecchio della fresca moglie il nome sbagliato. Rimane qualche secondo scioccato, mentre si specchia negli occhi sbarrati di lei. Poi il lampo di genio. Comincia a gridare: “Eva! Elisabetta! Caterina! Giulia! Sì, tu per me sei tutte le donne! Tutte le donne del mondo intero! Tu sei la donna al plurale! Pauline, Pierrette, tutte le donne del mondo intero sono in te e tu hai tutti i loro nomi!”. E la ama accelerando i movimenti come un atleta del sesso mentre la rigidità di lei si scioglie dentro quell’incandescenza.

 

  1.  Elide e Arturo (L’avventura di due sposi, Italo Calvino). La giornata inizia tutto in un altro modo per Elide se, invece della sveglia che strepita, è Arturo a destarla dolcemente, preceduto dall’odore del caffè che si sporge dalla tazzina. Poi non c’è tanto tempo per rimanere a fare ciù-ciù perché l’undici, il tram che la porta alla fabbrica, è puntuale, come un cambio della guardia. Lo stiracchiarsi della pedana sulla quale transitano i viaggiatori, che sente della strada, e altri tre tiri alla sigaretta prima di spegnerla preludono ritualmente al ritiro di Arturo nel letto. Prima si mette dal suo lato intonso, poi allunga le gambe dal lato di sua moglie e si rannicchia nel tepore depositato dal corpo di lei, e sul guanciale ammorbidito dal profumo. Quando a fine giornata veniva per Arturo l’ora di incamminarsi per il suo turno di notte, anche Elide strisciava un piede verso il lato di lui per cercare il caldo, ma poi si accorgeva che dalla parte sua ancora bruciava, e che dunque lui aveva dormito in quell’angolo, e ne era felice.

 

  1. La principessa sul pisello (Fiabe, Andersen). C’era una volta una signorina che bussò al castello di una famiglia reale che voleva piazzare il rampollo con una principessa doc. La tizia non si presenta chissà che, perché è tutta ripassata dal terribile temporale che imperversa, ma asserisce di essere una principessa, e quindi forse capita a fagiolo. E a questo proposito, la futura suocera sfodera un trucco per indagarne il sangue blu. La ospita per la notte sopra venti materassi e altrettanti piumini, ma sotto a questa piramide piazza un pisello. E al mattino dopo la tapina si sveglia con le occhiaie e lamenta la pelle livida, ma cosa diavolo c’era nel letto? I reali sono ovviamente soddisfatti, perché chi se non una principessa spaccherebbe i marroni per un minuscolo legume pressato sotto una foresta di poliuretano? Mancando un sequel si ignora se i principi abbiano poi divorziato perché lui leggeva a letto, e lei così non riusciva a prendere sonno.

 

  1. Henry Miller (Tropico del Cancro, Henry Miller). Non l’hanno mica inventata oggi l’autofiction, e Miller nel suo racconto delle peregrinazioni parigine pubblicato nel 1934 inventa un ineguagliato modo di descrivere il sesso incorniciando la sguaiatezza impudica nell’esattezza della metafora. Comincia con la fica di Llona – una fica da laboratorio e non c’era cartina di tornasole che non ne prendesse il colore – che conosce perché ha mandato un po’ di pelo là sotto, e ne ammira il culo che fiutava il piacere nel vento. Come ammira la puttana dalla testa ai piedi Claude, che non stava a fissare il soffitto vuoto, o a contare le cimici sulla tappezzeria, ma parlava delle cose che un uomo vuole sentire quando monta addosso a una donna. Poi, trovandosi da spettatore, considera che è meglio guardare una macchina che un accoppiamento, e che i due che osserva sono una macchina con gli ingranaggi slogati. Ospitato da un conoscente scopre che il letto è pure un buon posto dal quale non farsi tirare giù fino a mezzogiorno e dove ricevere un brodino quando si è ammalati. Verso la fine del libro ripassa, solo mentalmente, le donne che ha conosciuto e trova che sia una catena cominciata con la cacciata dall’ombelico, che tutte quelle fugaci vicinanze sostanzino la paura di vivere staccato e rimanere nato, e la porta dell’utero mai chiusa a chiave.

 

  1. Robinson Crusoe (Robinson Crusoe, Daniel Defoe). Il più celebre naufrago della letteratura prende dal vascello incagliato l’essenziale per vivere nell’isola e, curiosamente, abbonda nei letti (prese un piccolo letto pensile e alcuni letti), intimi legami simbolici con la domesticità civile perduta. Propende per il pensile, che era appartenuto all’assistente del capitano. Quando costruisce la sua “dimora di campagna” l’orgoglio si appunta soprattutto sul letto, sulla coltre di pelli di quadrupedi uccisi. Per carenza di luce e di intrattenimenti va a letto presto, intorno alle sette, e rari resteranno i romanzi che daranno conto con simile regolarità di questo evento. E’ ovviamente e letto, nel pieno di una febbre annichilente, quando ha la visione di un uomo che scende da una nuvola nera; e comincia a scandire l’inizio delle giornate con la lettura di una pagina della Bibbia, l’unico libro che si trovava presso di sé (e che fino a una ventina di anni fa era anche l’unico libro che il viandante reperiva sul comodino dell’hotel).

 

  1. Ares e Afrodite (Odissea, Omero). Già ai tempi dei Greci a qualcuno l’adulterio pareva più gustoso se consumato nel letto del coniuge cornificato. Alla meravigliosa Afrodite, poi, l’idea di essere andata sposa a quello sgorbio di Efesto non piaceva affatto, e così si coricava con l’amante nel talamo nuziale quando quello si assentava. Forse perché a quell’epoca girava ancora intorno alla terra e si faceva i fatti di tutti, il Sole spifferò l’increscioso segreto al fabbro degli dei, che approntò un diabolico intarsio di catene per intrappolare nell’amplesso Ares e “quella cagna di sposa”. Quindi, invitò tutti a godersi lo spettacolo. Dobbiamo stupirci che le donne declinassero per discrezione l’invito mentre Ermes, Poseidone e Apollo si fiondarono come al cinemino porno sotto casa? Ermes ammise che avrebbe accettato il triplo delle catene e le battutacce di tutto l’Olimpo pur di giacere con Afrodite. Per intercessione di Poseidone i due vengono liberati. Si alzano vergognosetti, certo, ma altro che bondage, questa è un’esperienza estrema!

 

  1. Dona Flor (Dona Flor e i suoi due mariti, Jorge Amado). Osserva il cadavere del marito, steso nudo sul tavolo dell’obitorio, e non può fare a meno di ricordarlo nel pieno del desiderio sfrenato. Vadinho è stato stroncato da un infarto dopo sette anni di matrimonio, nel corso dei quali ha dispensato a Dona Flor tribolazioni e tradimenti: però l’ha iniziata a un piacere sessuale incontenibile. “Lo spasso è una cosa santa, inventata da Dio in paradiso. Non lo sapevi?”. Passano i mesi e lei si sente soffocare dall’assenza, scruta il pozzo nero dentro di sé e pensa che il desiderio di una vedova sia corrotto e peccaminoso. Si risposa con un gentile farmacista che le somministra il godimento con le dosi dell’omeopatia. Sogna di esserne cavalcata in un letto di salmastro e tempesta, come aveva conservato ricordo in ogni fibra del corpo. Ma lui, senza spogliarla né spogliarsi, senza offrirle carezze buone per il letto di un bordello, lancia il canto di vittoria all’altra estremità del prato mentre lei si è appena liberata nel pascolo del desiderio. Per fortuna anche il defunto Vadinho ha nostalgia, tanto da liberarsi della tonnellata di terra che gli pesava sul petto. E torna al mondo. Invisibile, sì, ma quanto tattile…

 

  1. Oblomov (Oblomov, Ivan Goncarov). Nella seconda pagina apprendiamo che lo stare disteso per Oblomov non è una necessità, come per uno che è malato o che vuol dormire, né un caso, come per chi è stanco, né un godimento. Era per lui la posizione normale, che praticava alternando il letto e il divano nell’unica camera che frequentava e gli serviva da camera da letto, studio e salotto. Dalla città Oblomov dovrebbe amministrare i possedimenti terrieri che gli assicurano le rendite per vivere ma non ne ha mai voglia, e resiste agli sforzi di strapparlo alla passività dell’amico Stolz e della fidanzata Olga. La posterità lo tramanda come il tipico, pigro e inerte parassita, rappresentante dell’aristocrazia fondiaria che ha condotto alla rovina la Russia, e concorda con l’energico Stolz che lo rimprovera di oblomovismo. In realtà Oblomov, che dissente ideologicamente dagli affanni e dagli affari e nell’abbandono notturno sogna l’ideale arcadico del villaggio natio, sarebbe oggi rivalutato come intellettuale che propugna la decrescita felice.

 

  1. Shahrazad (Le mille e una notte). Il re persiano Shariyar, tradito dalla moglie con uno schiavo, dopo avere fatto uccidere i fedifraghi e tutto l’entourage che li ha protetti, compie una piccola esplorazione in giro per il mondo e si convince definitivamente che non esiste una donna onorevole. Stabilisce allora che d’ora in poi sposerà una vergine per notte, uccidendola al mattino. La coraggiosa Shahrazad, in una comprensibile fase di stallo delle pretendenti, assume l’iniziativa di sposarlo lei. Il suo piano è di raccontargli una storia per notte e poi prometterne un seguito assai più bello per la notte successiva. Quelli che trascorrono le notti davanti allo schermo per otto stagioni del Trono di Spade non faticheranno ad entrare nella psicologia del sovrano, che pensa: col cavolo che l’ammazzo adesso e poi non so come va a finire, a un certo punto la smetterà e farà la fine delle altre. Scorrono così le fantastiche storie di Aladino e Simbad, e anche qualche facezia pruriginosa, recuperata da una recente proposta di raccolta e traduzione, che comprende pure un ventaglio di ipotesi nominativa per la vulva, da sesamo sbucciato a basilico dei ponti. Sharazad salva la sua vita e con essa l’anima del re, che può tornare ad amare rinunciando ai propositi uxoricidi. In realtà, non è sicuro che le novelle si siano concluse in questo modo, e non è da escludere che Shahrazad stia ancora raccontando.

 

  1. Louis e Addie (Le nostre anime di notte, Kent Haruf). Una sera l’anziana Addie, vedova, fa un’insolita visita al vicino Louis, vedovo. Mi sento sola da anni e penso anche tu, gli dice. Mi chiedevo se ti andrebbe di venire a dormire da me la notte. E parlare. Credo di avere perso interesse per l’impulso sessuale tanto tempo fa. Sto parlando di attraversare la notte insieme. E di starsene al caldo nel letto, come buoni amici. Le notti sono la cosa peggiore non trovi? Louis è stupito ma propenso e come ogni uomo in imbarazzo cerca di temporeggiare con una battuta stupida: e se poi russo? Vorrà dire che russi, oppure che imparerai a non farlo, chiude la discussione Addie. E così cominciano, dolcemente, e nel piccolo paese il perbenismo e l’invidia gli mormorano contro, i loro figli adulti s’indignano. A letto si confidano il dolore delle rispettive perdite, che non li abbandonerà mai, e cominciano ad abbandonarsi a gesti d’intimità. Addie confessa di come negli ultimi dieci anni la vita con il marito fosse diventata cortese e tranquilla. Non ci sfioravamo mai di notte, ammette. Si impara a stare rigorosamente dalla propria parte, senza toccarsi nemmeno per sbaglio. Ti prendi cura dell’altro quando sta male e di giorno fai quello che pensi sia il tuo dovere. Anche se non è stato un bene per nessuno dei due, abbiamo passato tutto quel tempo insieme, è stata la nostra vita. Una notte Louis e Addie provano a fare tutto ciò che Holt aveva sempre pensato che facessero, anche se non era così. Si distendono sul letto e, mentre contemplano il partner, indagano con tristezza il proprio corpo decaduto. Cominciano. Poi Addie chiede se qualcosa non va. Non ce la faccio. I guai della vecchiaia, risponde Louis. Ma non si può non riprovare. Perché è a vivere che stanno riprovando. Fin quando si può. Finché dura.
Di |2022-08-31T15:49:37+01:0025 Luglio 2019|Sulla scrittura|

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