Vi dice qualcosa la differenza tra etica dei principi ed etica della responsabilità? Se proprio siete a digiuno di questa importante riflessione filosofica e non avete voglia di leggere nulla sull’argomento (nemmeno l’articolo in cui ne scrivo io), il film di Francois Ozon, “Sotto le foglie” può essere una valida scorciatoia per approssimarsi al tema, benché in una versione domestica e dalla prospettiva parzialmente rovesciata. Se dobbiamo liquidare la definizione in due parole diciamo: regolare le proprie azioni secondo i principi, e chi se ne frega delle conseguenze, oppure secondo quel che finirà per accadere, e pazienza per i principi. Abbandoniamo un attimo la traccia e dedichiamoci ai pochi protagonisti della storia, cinque in tutto, e un paio di comprimari. L’ambientazione è la campagna della Borgogna: in un paesino la benestante pensionata (ma pensionata da che? Eh, quello sarà un punto rilevante) Michelle (Helene Vincent) mena la sua quieta esistenza attendendo le visite dell’amato nipotino e della figlia, che si comporta con lei in maniera odiosa. Un brutto giorno Michelle le rifila per distrazione (o no?) un paio di funghetti velenosi raccolti e quella la prende male, peggio del male cui è già predisposta, e se ne va portandosi via il nipote, lasciando intendere che la nonna ha chiuso con lui, oltre che con lei. Altra famiglia, nel medesimo sito: Marie-Claude, amica del cuore, abbraccia la croce di un figlio che è appena uscito dal carcere (Pierre Lottin premiato a San Sebastian come miglior attore non protagonista). È fesso, non è un cattivo giovane, devoto verso la mammina e riconoscente verso
Michelle, la prima che gli offre un lavoretto, la sistemazione del suo giardino, e lo incoraggia a venir fuori dalle brutte compagnie. Il suo sogno sarebbe di aprire un bar tabaccheria.
Il film è segnato da quella che obiettivamente è proprio una cattiva azione e la qualità speciale della pellicola è che, se non ci fosse stata la cattiva azione, potremmo considerarla stucchevole e sdolcinata. Ma la cattiva azione rende più complicata la prospettiva dello spettatore. Tanto più che la cattiva azione, invece di portare le conseguenze nefaste che in termini kantiani dovrebbero discenderne, arreca vantaggio quasi a tutti. Un gioco di notevole finezza intellettuale. A reggerlo c’è una sceneggiatura perfetta, non a caso premiata al festival di San Sebastian: un equilibrismo fatto di omissioni e non detti. Una sceneggiatura non sceneggiata il giusto dentro un andamento lento (il giusto), di taglio dichiaratamente simenoniano.
Sotto le foglie garantisce lo standard di qualità del film sotto diversi profili: la recitazione è eccellente, il montaggio pulito e sempre felice nella scelta delle sequenze e la fotografia infusa di tonalità calde. Il doppiaggio (salvo che per la protagonista) è orribile, e quindi abbiate cura di guardare il film in originale. Tra i personaggi, la psicologia della figlia di Michelle è esageratamente tagliata con l’accetta per convenienza di plot. Difetto: una pacchianuccia concessione al visionario in una delle tracce, ma non pesa più di tanto. L’assenza dei padri non si capisce se sia ideologicamente critica o se escrescevano nella trama. In compenso non mancano i calici di vino, ormai per vederli trangugiare bisogna confidare soltanto nel cinema francese. Se non vi fate annebbiare dai loro fumi potrete utilmente speculare (in senso filosofico) sul dilemma dell’etica delle intenzioni e su quello accessorio del passato spiacevole che non si riesce del tutto a far passare.
Sotto le foglie
Due soli
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