RECENSIONE RITROVARSI A TOKYO

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Il culto adorante che la civiltà giapponese riceve attualmente in Europa trascura sovente certi aspetti aspri nella sua costruzione dell’ordine sociale. In Ritrovarsi a Tokyo, il regista francese Guillame Senez ne affronta uno poco conosciuto, ovvero il modo tranchant in cui lo stato affronta l’affido dei figli a seguito della separazione. Nella sostanza, quello congiunto non esiste, e la predisposizione nipponica a evitare i conflitti si risolve poco salomonicamente nel lasciare campo libero a chi compie la prima mossa, portandosi via il figlio. Se il genitore perdente è straniero, poi, la burocrazia si mette ancor più platealmente di traverso e offre il suo braccio violento per tenerlo lontano dai figli col discutibile pretesto di salvaguardare questi ultimi dai traumi. In fondo (dicono), se ne avranno voglia, potranno incontrare il genitore mancato dopo la maggiore età.

La storia dunque è quella di uno di questi padri, il francese Jay che dopo avere subito l’amputazione filiale rimane nonostante tutto in Giappone, un po’ perché ormai si è integrato anche linguisticamente, un po’ perché ormai si è integrato anche linguisticamente, un po’ perché non lo abbandona il sogno di incontrare la figlia della quale non sa più nulla. Ha abbandonato il mestiere di cuoco per fare il tassista pure con questa sottesa speranza, chiaramente assurda in una città con quaranta milioni di abitanti. Dopo nove anni però la sorte la premia: una ragazzina di famiglia ricca si rompe la gamba e ha bisogno di uno chauffeur per andare a scuola. Non la riconosce al primo colpo (ha tredici anni, l’aveva persa a quattro) ma a furia di scrutarla nello specchietto retrovisore e, quando poi le amiche la chiamano col suo nome, Lily, gli arriva l’illuminazione. Che fare? Una buona parte del film si consuma in questo stallo, e non è un merito. Il tempo della meditazione viene coperto dall’incontro con un’altra malcapitata, Jessica, il cui ex marito che ha sequestrato il figlio è pure un alto funzionario, e dalla frequentazione di un gruppo di genitori con lo stesso problema: tutti altresì separati ma non divorziati, per non perdere il diritto di vedere i figli (questo in realtà è un punto poco chiaro perché non possono vederli lo stesso). 

Non credo sia uno spoiler avvertire che la situazione in qualche modo si sblocca, nel senso che la rivelazione arriva. Taccio invece sul seguito, se non per manifestare il mio scarso apprezzamento per l’implausibilità della reazione che ha la ragazzina e per una fase essenziale del film che assume un taglio semplicione, più da blockbuster che da film d’autore. Il film tira dentro lo stesso, perché la storia, fosse pure ascoltata al bar, coinvolge emotivamente; e comunque la sincerità dell’indignazione e la passione nel raccontarla sono evidenti. Il merito però lo ascriverei all’interpretazione di Romain Duris, nella parte di Jay, veramente straordinario, anche nei passaggi d’umore. Per il resto: fotografia, uso della camera, montaggio, sceneggiatura sono piuttosto scialbe, povere di identità. Non riescono a catturare nemmeno la città, che trattandosi di Tokyo sarebbe un gioco da ragazzi. C’è un equilibrio tra il detto e il non detto che pencola sempre un po’ troppo da una parte o dall’altra, senza fissare l’asse. Poi, ad esempio, a Mereghetti, sul Corriere, è piaciuto tutto. Però, considerando che una donna (la citata Jessica) che Jay chiaramente incontra per la prima volta, e a un certo punto tira l’aria che scatti la scintilla, Mereghetti la scambia per la sorella di Jay, è possibile che si sia addormentato.

Ritrovarsi a Tokyo

Nuvola    

Di |2025-05-09T14:02:17+01:009 Maggio 2025|2, Il Nuovo Giudizio Universale|

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