RECENSIONE GENERAZIONE ROMANTICA

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Cucinare arrangiandosi con quel che c’è in frigo è la lodata capacità dei grandi cuochi. Se però, in occasione di una cena con ospiti, si esagera ad attingere dagli avanzi è facile che il pasto finisca per deludere. Generazione romantica, del grande regista cinese Jia-Zangke, presentato all’ultimo festival di Cannes, impiega in effetti molto materiale non utilizzato dei suoi film precedenti. Lo combina con qualche filmato amatoriale ed analogico per imbastire quella che, nelle sue dichiarazioni e in una pluralità di recensioni che sembrano veline dell’ufficio stampa, è una rivisitazione delle trasformazioni urbanistiche e sociali che la provincia cinese ha subito nell’ultimo ventennio: il tempo di una travagliata storia di amore in cui una lei insegue un lui inaffidabile, che l’ha piantata per andare a cercare fortuna in luoghi diversi da quello in cui vivevano.

In realtà l’impiego di materiale girato anni prima non è una novità assoluta per il regista: era già accaduto nel suo ultimo I figli del fiume giallo. Quanto alla volontà programmatica di dar conto dei mutamenti cinesi con un piglio assai prossimo al documentaristico, è questa la caratteristica dell’intera sua filmografia, non nasce certo oggi. Egualmente, i bruschi salti di montaggio (avevo avuto occasione di osservarlo nella recensione del film precedente), nel loro abbinamento di immagini lontane e non immediatamente connesse ritornano al montaggio di attrazioni di Ejzenstein. La vera variante, riguardo alla sua produzione, è che la narrazione centrale è del tutto labile ed evanescente. Diciamo pure: inesistente e pretestuosa, compiuta solo nel suo abborracciato scioglimento finale. Lei potrebbe star cercando da vent’anni il cane spersosi invece che l’amante, lui potrebbe da lei del tutto prescindere, come in effetti prescinde (salvo, vorrebbe, alla fine). 

Davvero i due, che del resto s’incrociano per sette minuti in tutto il film, stanno lì per dovere di sceneggiatura, e stanno pure zitti, per lo più: i grandi silenzi e non detti al posto dei profluvi verbosi sono un altro topos di Jia-Zangke, ma una cosa è farne l’interruzione di una catena discorsiva e un’altra è lasciarli appesi nel nulla. Questo vuoto narrativo si riflette malamente sul film, che rimane sfuggente e freddo, alimentato solo dallo straordinario virtuosismo visivo del regista e la frizione dei formati: meglio sarebbe stato a quel punto che avesse condotto l’astrazione fino in fondo e rinunciato all’orpello di una simile storia. Aggiungo che per comporre un’opera fatta solo di schegge veloci e panoramiche di turbolenza geo-interiore servirebbe l’unica dote che Jia-Zangke non possiede: il lirismo poetico. Risente di questo straniamento anche la recitazione della sua musa e moglie Zhao Tao, icona del cinema cinese, che appare espressivamente più uniforme che nelle prove passate. 

Il film si accende solo in certi piani sequenza di umili scene collettive, per lo più musicali: nei primi trenta minuti pare proprio un atipico musical, e forse è quella la strada che avrebbe dovuto percorrere, osando sino in fondo. Nella parte conclusiva, inedita e illustrante l’epoca del Covid, brillano un paio di scene più toccanti, fra le quali un memorabile ballo di parziale ritorno alla vita sociale nel quale alcuni danzano da soli, senza per questo rinunciare alla posa dell’allaccio delle braccia. Queste riprese, mescolate alle più felici tra quelle di archivio, uno stato d’animo della desolata alienazione riescono a restituirlo, per chi ha avuto la pazienza di non staccarsi emotivamente dalla pellicola. Un amante di Jia-Zangke questa pazienza la possiede, altri spettatori no. Io sono stato comunque contento di vederlo. Se però avesse fatto un film diverso sarei stato più contento.

Generazione romantica

Nuvola

Di |2025-05-22T15:31:29+01:002 Maggio 2025|2, Il Nuovo Giudizio Universale|

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