La felicità e l’istinto. Cosa fare delle nostre aspettative.

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Esiste l’opinione che i matrimoni combinati non provocassero la medesima infelicità di quelli moderni; funestati, questi ultimi, da un crescente numero di rancorosi divorzi.

Vero o meno che sia (non è certo il tasso di separazioni il parametro, visto che sciogliere il vincolo di solito è impossibile in una società che combina i  matrimoni),

è certo che il matrimonio per amore ha alzato la nostra aspettativa di renderci felici attraverso l’unione e non si “accontenta” di  mettere al mondo prole e fornirsi reciprocamente convenienza sociale o forza lavoro nei campi.Intanto, le persone che hanno letto nello stesso momento queste righe ne avranno ricavato sensazioni e pensieri diversi per effetto delle loro differenti aspettative rispetto a questo tema in generale e sul contenuto di questo articolo in particolare. Articolo che (tradendo forse alcune aspettative) non è dedicato al matrimonio ma a proprio a quello stato mentale dominante che abbraccia la nostra esistenza e si definisce aspettativa (ma che nella sua generalità di rado è stato affrontato esplicitamente).

 

Esistono tre tipi di aspettative, che per comodità e distinzione qui chiamiamo alfa, beta e omega.

Le aspettative alfa rappresentano il sistema di attese dettato dalla natura e dall’organizzazione sociale che guida il nostro sistema di condotte. Se vediamo il cielo nuvoloso l’aspettativa della pioggia ci induce a prendere l’ombrello. Anche se non avessimo ancora aperto la finestra al mattino, però, e letto solo le previsioni meteo che annunciano temporali, faremmo la stessa cosa perché ci aspettiamo che i metereologi (umani o algoritmici) esprimano con competenza una probabilità. Se chiediamo un’informazione per la strada a un vigile ci aspettiamo che non ce ne dia per scherzo una sbagliata, se siamo lavoratori salariati ci aspettiamo che a fine mese ci venga versato lo stipendio sul conto corrente e se al supermercato abbiamo bisogno dello yogurt ci aspettiamo di trovarlo nel settore alimentare e non vicino al detersivo per lavastoviglie. Le aspettative alfa sono le nostre bussole di orientamento, grazie alle quali, senza partire da capo ogni mattina e in virtù della nostra esperienza e conoscenza del mondo, possiamo dare per acquisite una serie di informazioni, e con esse dei risultati o le procedure per raggiungerli. Ognuno di noi in qualche modo è inserito, anche attivamente, in questo sistema di aspettative (Talcott Parsons parlava di “aspettative di ruolo”).

Le aspettative beta sono le nostre previsioni su un risultato incerto che ci riguarda direttamente e al quale attribuiamo un valore più o meno significativo, comunque abbastanza significativo da suscitare emozioni e modificare o confermare atteggiamenti. Se da un affare mi attendo un certo risultato economico resterò deluso se me ne viene una perdita, e così anche se perde malamente la squadra di calcio del cuore: a seconda che io sia un ultrà, una persona facoltosa o un disperato, un essere razionale o passionale, l’uno o l’altro evento peserà in modo maggiore. Se ho l’aspettativa di sposare qualcuno soffrirò nel trovarlo tra le braccia di un’altra persona e se mi aspettavo di godere di un viaggio a lungo pianificato mi susciterà rabbia l’annullamento del volo per uno sciopero. Le aspettative beta si indirizzano verso stati d’animo astratti, a partire dalla felicità, ma in concreto l’aspettativa concerne il contenuto dell’essere felici. Se identifico la felicità con il successo e la ricchezza e specifico l’obiettivo nel vendere tanti dischi quanto Eminem certo la mia strada è in salita. Raccontate in linguaggio economico, le aspettative richiedono un investimento (di energia, pensieri, applicazione pratica) per ottenere un rendimento. E’ evidente che c’è un rapporto tra la quantità investita e il rendimento ottenuto.

 

Le aspettative omega sono l’organizzazione o riorganizzazione del nostro istinto, fondata sulla struttura cerebrale, sull’esperienza e sui condizionamenti culturali. Le aspettative omega sono spesso vissute dal lato di chi “riceve” qualcosa, a volte anche apparentemente in modo passivo, ma co-determinano l’esperienza, anche quando questa è condotta da un altro agente. La ragione per cui le conversazioni sono condotte tanto velocemente è che, per la maggior parte del discorso altrui, noi sappiamo cosa dirà l’altro prima che lo dica, ricavandolo dalla progressiva contestualizzazione e dall’esperienza. In un certo senso siamo noi a completare il suo discorso, con lo svantaggio che se abbiamo sbagliato aspettativa sarà più facile il fraintendimento, anche se l’altro si fosse espresso con chiarezza. Nella vita di tutti i giorni ci troviamo quasi sempre, per fortuna non con lo stesso grado di pericolo, come quando in un bosco ci compare una figura stretta, scura e curvilinea sul terreno. Si tratterà di un ramo o di un serpente? Il cervello manda segnali all’ipotalamo, alla corteccia e all’amigdala che, ciascun organo secondo la propria funzione, elaborano la risposta mandando intanto al cervello segnali emotivi che ne dirigono la reazione motoria. Continuamente, che si tratti di una parola che può essere ambiguamente decifrata come tenera o maliziosa o di un elettrodomestico problematico da governare, ci balena il dubbio: sarà un ramo un serpente? Ma se nel caso del bosco è possibile assumere rapidamente indizi e prove che dissipino l’incertezza, le interazioni (essere umano/essere umano, essere umano/comunità, essere umano/animale, ma anche essere umano/oggetto, essere umano A/essere umano A, vale a dire rapporto dell’Io con il Sé) quasi sempre conservano una certa fluidità interpretativa e questo ci spinge a leggerle il più delle volte in modo conforme alle nostre aspettative. Se pensiamo, insomma, che si tratti di un serpente, sarà dura convincerci che è solamente un ramo. Il problema si presenta massicciamente nell’informazione, che non immagazziniamo “pura” poiché viene dapprima selezionata (tendiamo a cercare quella che risponde alla nostre aspettative) e poi letta secondo i nostri codici di aspettative. La tecnologia, come è noto, ha accentuato la questione, aiutandoci a compilare la selezione e formando le pagine dei social personalizzate sulle nostre aspettative.

 

Queste tre forme di aspettative, pur distinte, tendono a sovrapporsi e mischiarsi. L’organizzazione sociale, che regola le nostre aspettative alfa, in parte è obiettiva (se l’ufficio postale è in via Verdi non posso mandare la raccomandata da un inesistente ufficio di via Rossini) in parte è soggettivamente “percepita”, e se sono in pericolo chiamare o meno i carabinieri sarà una scelta influenzata da aspettative di tipo beta e omega (credo nella tutela della forza pubblica? sono convinto che sia corrotta? sono un latitante e se la chiamo ho l’aspettativa – le aspettative possono essere pure negative – che dopo mi arrestino?).

Di più: alle tre tipologie di aspettative se ne aggiunge una quarta, anch’essa intrecciata con le prime sino a confondersi, che a questo punto chiamiamo aspettativa delta, ed è costituita dalle aspettative che gli altri hanno nei nostri confronti. Non è meno condizionante dei comportamenti e dell’esistenza, basti pensare al rilievo interiore che ha per i figli rispondere alle aspettative dei propri genitori o emanciparsene.

 

Si possono dunque, unitariamente, cominciare a trarre tre sorprendenti corollari:

  1. Si insiste molto sul fatto che il presente sia influenzato dal passato. In realtà esso è ancor più orientato dal futuro, cioè da quello che ci aspettiamo dal futuro (che, questo sì, è a sua volta influenzato dalle esperienze passate). A volte è un futuro di pochi secondi, altre di una vita intera. Ma è sempre già lì, a dettare le regole del presente.
  2. Le aspettative, anche se si concentrano su quel che ci attendiamo, non esprimono una posizione passiva- lo dicevo per il linguaggio- ma una posizione fortemente attiva, a rischio di staticità e di sottovalutazione della razionalità e dei riscontri empirici. In un certo senso sono il nucleo del nostro essere, e siccome non aveva torto Spinoza ad affermare che ogni cosa si sforza di persistere nel suo essere, noi siamo spesso le nostre aspettative (oppure il dolore di non esserlo stati)
  3. Le aspettative, con il loro addomesticamento preventivo del reale, sono la prima forma di realtà “virtuale”, e a quel reale si sostituiscono, visto che poi il reale, per quel che la maggior parte delle volte ci interessa, è l’esperienza che noi facciamo del reale. Questo vale per l’individuo, ma anche per i sistemi sociali. L’esempio più eclatante si può osservare in economia: come Keynes per primo aveva intuito, le aspettative pesano sugli equilibri di mercato anche più dei dati reali e oggi possiamo constatare, nella Borsa, come l’aspettativa prosciughi l’acqua in cui dovrebbe immergersi il reale prima che questo accada. Così, se si paventa una guerra, i valori finanziari crollano. Quando scoppia effettivamente, in modo del tutto incongruo, sono già in risalita.

Dato la centralità delle aspettative era inevitabile che alcune filosofie se ne occupassero, pur non menzionando esplicitamente l’oggetto dell’indagine. La filosofia delle aspettative beta corre dallo stoicismo a Schopenhauer, e ci invita a tenerle basse, a non pretendere troppo dal futuro e godere (o non godere troppo) del presente. Il segreto della felicità consisterebbe nell’equilibrio tra quel che possiamo ottenere e quel che desideriamo. Rousseau individua la forza rispetto alla debolezza proprio nell’avere bisogno di quel che si ha. Tutte queste filosofie guardano con sospetto il desiderio.

Le filosofie dominanti nella seconda metà del XX secolo e nell’inizio del XXI secolo, rispettivamente la filosofia del linguaggio e quella della mente, mettono al centro della riflessione le aspettative omega, indagando i fraintendimenti che le aspettative linguistiche generano e le vie obbligate che il cervello percorre rendendoci schiavi, vittime o artefici del modo in cui ci pone di fronte ai fatti.

Una linea divisoria tra le religioni è tra l’innalzamento e lo spostamento delle aspettative (rivolte oltre il mondo terreno nel cristianesimo e nell’Islam) o la loro soppressione (nel buddismo).

Le varie correnti della psicoanalisi trovano un comune denominatore nella cura delle aspettative e nel loro reindirizzo (con l’estremo di Otto Rank che fa risalire l’origine dei nostri disagi al trauma della nascita, e dunque all’aspettativa, addirittura pre-natale, di rimanere nel grembo materno).

La letteratura offre le sue pagine più drammatiche nel confronto difettoso con le aspettative: il suo paradigma è il romanzo di Madame Bovary, dove Emma ha un problema di aspettative beta (le sue aspettative sono molto distanti dalla vita quotidiana), esacerbato dal matrimonio con Charles, le cui forme di onesta ottusità sono distorsioni dell’esistente, filtrato attraverso uno zoccolo duro di pregiudizi, ovvero di radicate aspettative omega. Tra le arti, il cinema ricava la sua forza visiva di coinvolgimento con la frequente messa in crisi delle aspettative realizzata mediante il montaggio.

Il marketing si nutre delle nostre aspettative, che cerca in ogni modo di condizionare rendendoci più accoglienti verso i beni che ci propone di acquistare. Quando assaggiamo un vino scadente travasato in una bottiglie pregiata è tutto l’apparato neuronale che si predispone a un gusto più gratificante. Ovviamente, quando l’esperienza di acquisto di prolunga o entra in contatto con l’esperienza di altri soggetti, il gioco rischia di rovesciarsi nel suo contrario perché l’incapacità del bene o del servizio di tenere fede alle aspettative ci rende più aggressivi di quel che saremmo stati partendo da un’aspettativa moderata. Anche i cambiamenti di governo provocati dalle scelte elettorali, del resto, nascono essenzialmente dal tradimento delle aspettative che in certe fasi i partiti sono indotti a tenere alte per acquisire consenso.

Eliminare le aspettative non è possibile, e nemmeno auspicabile. Come abbiamo visto, alcune interazioni diventerebbero precluse. Quanto alle aspettative di vita, quando si traggono i bilanci dovremo constatare che persino le illusioni (le più ostentate tra le aspettative inappropriate) hanno contribuito a farci vivere dei momenti di felicità ai quali mai avremmo avuto accesso.

Dato però che le aspettative danno forma alle nostre esistenze è un grave limite non lavorare sopra di esse. La pratica più giudiziosa è nel rendere il più possibile inclusive: mettere in conto il loro inappagamento, anticipando il dispiacere che questo ci darebbe per prendergli le misure per tempo: come dire, avere sempre pronto un piano b; non concedere loro uno spazio tale da pregiudicarci la gioiosa percezione di quel che ci offre il presente; e infine, non segregarci nel mondo disegnato dalle nostre aspettative, aprendoci alle consapevolezze, alle ragioni e alla libertà che l’esplorazione di ciò che avevamo lasciato fuori, e nemmeno eravamo propensi a prendere in considerazione, può inattesamente donarci.

Di |2022-08-31T15:48:43+01:004 Maggio 2018|Motori di ricerca interiore|

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