Spose bambine, crack dei mercati e demagogia. Così ci fa danno la velocità

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I matrimoni combinati presentano la caratteristica di abbassare l’età dei coniugi poichè i genitori, che operano come imprenditori in un mercato, temono che i “pezzi più pregiati” vengano accaparrati da altri: o peggio, soprattutto nelle società poligamiche, che l’offerta di donne venga improvvisamente a coincidere con una carenza di domanda da parte degli sposi. Ecco che diventa normale, in India ad esempio, il fenomeno delle spose bambine.In altri posti hanno pensato che la previdenza non è mai troppa, e hanno cominciato concedere una sorta di futures sui bambini, promettendo in matrimonio i neonati.Presso la tribù australiana degli Arunta si faceva di meglio. Siccome le bambine erano promesse in matrimonio appena nate, quando nasceva un maschio i genitori lo promettevano in sposo a una figlia (ovviamente lontana dall’essere concepita) di quelle bambine, che diventavano quindi virtualmente già suocere.

Ho appreso questa strana storia degli Arunta nel bel libro Matchmaking, appena pubblicato in Italia, di Alvin E. Roth, premio Nobel per l’economia nel 2012. Roth ha dedicato parte della sua vita allo studio dei mercati caratterizzati dal matchmaking (cioè quelli in cui due persone devono scegliersi tra loro), cercando di correggerne le distorsioni e le inefficienze con delle forme di regolamentazione, riassunte sotto l’etichetta di market design. Uno dei principali rischi che questi mercati corrono è la pratica definita unreaveling: alcuni partecipanti cercano di battere sul tempo i concorrenti anticipando le offerte prima dell’apertura, sfalsando i tempi dell’efficienza del mercato. L’esempio dei matrimoni fra non concepiti ne è un esempio paradossale (ma naturalmente basta pensare ai mercatini della domenica).

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Roth, da buon economista, adopera con spudorata estensione il concetto di mercato: in effetti, anche se  si qualifica ripugnante un mercato sui reni nella versione dello scambio tra l’organo e una somma di denaro, la situazione in cui si scambiano solo reni di donatori, del tutto desiderabile, innesta una competizione di domande del tutto analoga a un mercato, e ha il medesimo interesse a sincronizzare nel modo più efficiente le risorse e i tempi in cui sono disponibili le richieste.

Uno degli aspetti più interessanti che emergono esaminando il matchmaking è nella considerazione che un mercato può essere notevolmente peggiorato non solo dalla lentezza ma pure dalla velocità. In fondo l’unreaveling è un tentativo di accelerazione del mercato. Ma per andare a esempi che non siano partenze anticipate e che ci risultino più familiari, pensiamo ai mercati finanziari: le negoziazioni ultraveloci sui futures portarono al noto flash crash del 2010 (crollo della borsa di oltre il 9% in pochi minuti). Si trattò di un episodio limite ma pur indicativo dell’instabilità che la velocità di movimento degli algoritmi deputati alla vendita e all’acquisto di azioni determina costantemente sul mercato. Non mi dilungherò sulle spiegazioni tecniche, ma in molti casi essi determinano fisiologicamente un innalzamento dei costi di transazione che ricadono sulle spalle degli investitori. Del resto gli algoritmi operano in pochi millisecondi (assai più di quelli dei nostri battiti di ciglia, che sono circa cento), gli sfasamenti temporali che fanno comprare a un costo più caro dipendono da un differenziale di tre millisecondi e attualmente si sta disputando su una modifica nel design dei mercati finanziari per sostituire la negoziazione al più veloce con un mercato che opera … un secondo alla volta!

La disfunzione che gli economisti hanno individuato è nel fatto che la competizione sulla velocità va a scalzare quella sul prezzo: un risultato ovviamente senza senso, che comporta anche un dirottamento delle energie dai loro fini. E’ chiaro che su orizzonti temporali misurati in giorni il flusso delle informazioni ha un effetto benefico sui mercati: Roth, in un plastico esempio, ricorda come il telegrafo rivoluzionò l’efficienza del mercato del cotone, portando notizie sui prezzi che via nave impiegavano dieci giorni. Ma, come egli stesso sottolinea, accelerare l’arrivo delle notizie affinché le decisioni vengano prese sulla scorta di informazioni migliori è diverso dall’accelerare le decisioni affinché vengano prese prima dell’arrivo delle notizie!

 

D’altronde in termini di millisecondi nel mondo degli eventi umani non accade nulla, e pertanto notizie non possono pervenire. Quel tipo di velocità, quindi, recide ogni legame plausibile tra l’economia finanziaria e l’economia reale, rendendo strutturale la debolezza di entrambe.

 

Gunther Anders chiamava dislivello prometeico l’asincronizzazione ogni giorno crescente tra l’uomo e il mondo dei suoi prodotti. La nostra anima non è abbastanza veloce per essere aggiornata al ritmo della produzione. Era questo sfasamento, secondo Anders, a determinare un grave problema etico. Siamo stati così tanto rapidi a costruire la bomba da non avere il tempo di metabolizzarne le conseguenze, e tenerci lontani dal suo uso.

Ma ormai lo sfasamento non riguarda solo l’uomo e i prodotti ma perfino il rapporto tra i prodotti, tutti sintonizzati su una velocità che finisce per renderli destinati all’inceppo. Il sistema sociale e produttivo si trova dinanzi a quello che si potrebbe definire il dilemma della tastiera QWERTY. Se non sapete cos’è osservate la tastiera del pc o dello smartphone da cui state leggendo: sono le prime sei lettere. Perché le lettere della tastiera sono messe nell’ordine che trovate? Per facilitare la vostra scrittura veloce? Al contrario. Per rallentarla. La tastiera fu disegnata con voluta irrazionalità nel 1873 per evitare che la quasi simultaneità delle battute sui tasti (che si sarebbe prodotta se fossero stati ordinati secondo logica) bloccasse il funzionamento. Sarà anche vero, come dice Jared Diamond, che la tastiera QWERTY è sopravvissuta alla soluzione del problema tecnico che l’ha creata per non danneggiare gli interessi di milioni di dattilografi o centinaia di fabbricanti (le lobby, direbbe il Sole 24 Ore!), ma la Apple, che l’ha conservata sugli Iphone, non aveva nessun interesse pregresso da salvaguardare, se non evitare di irritare tutti i digitatori per la difficoltà nel riadattarsi. La tastiera ci rammenta però che se il tempo della macchina è superiore a quello dell’uomo diventiamo dislessici: e che, se due funzioni vengono attivate nello stesso momento, il corto circuito può riguardare anche le macchine. A me capita con il sistema di posta di Microsoft, ma se anche gli oggetti fossero perfettamente tarati per resistere a qualsiasi sincronismo lo stesso non sarebbe per l’interazione, o la semplice compresenza, di due oggetti.

Osservate come sia divenuta più faticosa la lettura dei siti Internet principali per la continua comparsa di banner pubblicitari. Qui il problema non è che ne risulta rallentata la lettura ma che entrano in collisione due velocità (quella di apertura del sito e quella del banner che oscura il testo), danneggiandosi a vicenda (perché finisce che rinunciamo a leggere l’articolo e in questo modo tanti saluti anche alla pubblicità).

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Non siamo lontani dall’avverarsi della profezia di Marinetti: “Il Danubio opaco, sotto la sua tonaca di fango, chino, il volto sulla sua vita interna piena di pesci libidinosi e fecondi, passa borbottando tra le alte ripe implacabili delle sue montagne, convento scoperchiato della ruote veloci delle sue costellazioni. Fino a quando questo fiume pedante permetterà che un automobile lo superi a tutta velocità, col suo abbaiare di fox terrier folle? Io spero di vedere presto il Danubio correre in linea retta a 300 all’ora”.

Non siamo lontani concettualmente, ma siamo all’antitesi tipologica: la velocità energetica che dipingevano i futuristi era quella che lasciava la materia collassante sulla tela; la velocità che ha fatto interruzione è quella invisibile del bit. Essa ha messo al centro l’informazione, ma quest’ultima ha perso la sua caratteristica strumentale per diventare merce autonoma, non sempre secondo ragionevolezza.

E’ per questo che il sovraccarico di informazioni, che la velocità del loro plurimo sviluppo ci vomita addosso, è diventato un meccanismo di paralisi sociale e personale.

L’inflazione, dal punto di vista economico, si identifica con la velocità di circolazione della moneta. McLuhan la definì “il denaro in crisi di identità”. Lo stesso si potrebbe dire per quella forma di inflazione, generata pur essa dalla velocità di circolazione, che mette in “crisi d’identità” l’informazione.

 

Vorrei rimandare ad un’altra occasione il tema del nostro sforzo interiore di vivere “velocemente”. Mi interessa qui osservare che l’organizzazione del mondo secondo lo schema della velocità non determina solo inefficienze di mercato ma anche abbagli sociali.

La decadenza dei progetti politici, inchiodati sull’obiettivo a breve termine, è legata all’inseguimento di quel che si può conseguire velocemente (è un morbo che ha infettato anche il management aziendale). Il fastidio verso la concezione classica della politica, pur stimolato dall’inettitudine della classi dirigenti, è esacerbato dall’avversione verso i concetti di “freno” e “controlli”,  a causa della perversa opinione che anche il Danubio debba andare a 300 all’ora.

Tra le proposte demagogiche della politica rampante c’è n’è una che mi ha sempre colpito: la promessa che si possa aprire un’impresa in un giorno. Non andate veloci, fermatevi un attimo a pensare: cosa ci può essere di più stupido che la frase “Cara, vado a comprare le sigarette” venga sostituita da “Cara, vado ad aprire una tabaccheria?”. Le imprese serie richiedono studio, raccolta di capitali, azioni preparatorie e non saranno certo quattro o cinque giorni, volti a filtrarne la nascita sotto un minimo (veramente un minimo: anche troppo!) di vigilanza a danneggiarne la sorte (naturalmente questo non ha nulla a che vedere con la vessazione di inutili adempimenti burocratici che in taluni casi si replicano e determinano un ritardo infinito).

 

La velocità, ha spiegato Roth nel suo Matchmaking, contiene alcune derive: la fretta, e questo è facile da comprendere. Ma anche l’anticipazione (una sottocategoria della fretta) e l’accelerazione. Molte crisi sistemiche (mi riferisco al sistema in senso esteso: anche il corpo umano lo è) sono il frutto di accelerazioni che disintegrano una struttura che non ha avuto il tempo di riorganizzarsi. Va da sé che in alcuni casi la disintegrazione è benefica, sia nel senso che aiuta a far progredire la storia sia nel senso che gli organismi sono in grado di utilizzarla come strumento di rinforzo per la propria resilienza.

Il vero problema è che oggi la velocità non ci consegna una possibilità bensì un obbligo: se (grazie ai mezzi che ci vengono forniti) siamo abbastanza veloci per fare qualcosa, allora dobbiamo farla. Ecco, questa è una malattia.

Di |2020-09-11T15:16:50+01:0017 Marzo 2017|Limite di velocità|

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