L’Africa senza luce

Home>L’Africa senza luce

Mandare i vaccini in Africa. Inviare cibo. Ottime cose. Ma che dire se né l’uno né l’altro possono essere adeguatamente conservarsi?

La drammatica situazione di povertà dell’Africa parte dalla mancanza della più importante conquista occidentale: l’energia elettrica. C’è una prospettiva particolarmente desolante per osservare l’immagine satellitare del nostro pianeta: focalizzarsi sulla parte “spenta”, contrariamente alle altre zone geografiche.

 

L’Africa dispone dell’8% delle risorse mondiali di gas naturale, petrolio e carbone che però servono per lo più a illuminare le nostre case, le nostre strade, le nostre vetrine. Gli 800 milioni di africani consumano il 3% dell’elettricità mondiale, lo stesso quantitativo della Spagna, che di abitanti ne ha 45 milioni.

Al’incirca il 25% degli africano fruisce di un accesso irregolare (irregolare) alla luce elettrica. Solo in uno sperduto isolotto dell’Oceano Indiano tutti gli abitanti fruiscono dell’elettricità. In Uganda la percentuale è del 5%, in Congo del 7%, in Kenya e Madagascar del 9%. Sull’isola di Niomoune, alle 19 di sera, la popolazione si riunisce per applaudire l’accensione dell’unica luce disponibile, quella del lampione che prodigiosamente illumina (più o meno) la piazza. Dove non c’è nemmeno questa risorsa è l’ora di andare a dormire, perché non si vede più nulla.

Entro certi limiti ci si può arrangiare con il legname, specie nelle stagioni in cui il buio cala presto, e i bambini che non hanno modo di fare i compiti disponendosi in  circolo intorno al maestro che prosegue la lezione del mattino.

Le lampade sono a cherosene, che causa la sua quota annua di intossicati e di incendi delle case. E già non è per tutti, visto che il costo può arrivare a sette dollari l’ora.

In mancanza di impianti di produzione moderni la spesa per elevare del 10% la diffusione di elettricità si aggira intorno ai 25 miliardi di dollari. Ciononostante un incremento si è verificato negli ultimi anni ma non tale da competere con la crescita demografica. Infatti, a fronte di un maggior consumo del 15%, negli ultimi 25 anni, la popolazione è raddoppiata.

 

Di buono c’è l’orientamento verso le nuove tecnologie: l’Etiopia ha un’illuminazione dipendente per il 99% dai pannelli solari, seconda solamente all’Islanda. Ma nemmeno il fotovoltaico è a basso costo.

Eppure negli ultimi anni qualcosa si muove. Grazie a un virtuoso ed efficace modello di microprestito, sta decollando il progetto “Akon Lighting Africa” (sostenuto dall’omonimo filantropo, artista nominato 5 volte al Grammy). “Se volete cambiare il mondo non andate in Silicon Valley venite qui” ha dichiarato un paio di anni fa un ventinovenne italiano, Simone Vaccari, che ha mollato una carriera in Vodafone per la start-up ghanese Peg, fondata da un imprenditore americano e uno australiano, che vende microsistemi solari in leasing.

 

La realtà corrente rimane quella del parto notturno in cui un’ostetrica si cimenta nel parto con una fioca lampada a gas e una torcia a mano: come quella documentata dal fotografo Pascal Maitre, nell’eccezionale ciclo “Africa Without Electricity”, al quale devo personalmente “l’illuminazione” su un problema che ignoravo, e che si colloca lontano dall’agenda pubblica delle urgenze e che invoca il nostro sdegno, il nostro sguardo e la nostra attenzione.

 

Di |2020-09-11T15:16:17+01:0013 Aprile 2018|Limite di velocità|

Scrivi un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Torna in cima