I vagabondi di Olga Tokarczuk

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Bisognerà che a un certo punto ce ne facciamo una ragione e rinunciamo a classificare nella categoria di “romanzo “tutto quello che non ha frasi tipo “è opinione della dottrina” e non un apparato di note (peraltro lo stupendo “Il terzo poliziotto” di Flann O’Brien ce l’aveva). Per il momento però, mancando una definizione alternativa soddisfacente, ci uniformiamo ai giurati dell’International Man Booker Prize che le hanno assegnato il premio, e ci pieghiamo alla volontà della polacca Olga Tokarczuk.
Il suo libro (romanzo) “I vagabondi” dovrebbe in qualche modo riguardare il viaggio, ma carambola da un secolo all’altro, da un non luogo all’altro (stazioni, aeroporti), da una chiacchiera oziosa con il vicino d’aereo a un semi-aforisma, dal cuore di Chopin a un servo impagliato ( e le lettere della figlia al sovrano che ha commesso il sopruso sono straordinarie). La Tokarczuk si prende la licenza di mollare le storie per centinaia di pagine o di lasciarle inevase per l’eternità. La si immagina riempire taccuini ad ogni occasione, senza poi venirne a capo e decidere che è proprio quel che voleva. Mi ricorda in qualcosa la Yourcenar, ma è meno saccente, e tra i contemporanei Adam Thirlwell (che è più bravo, più geometrico e più freddo). Postmoderno ed estetica del frammento portati alle estreme conseguenze. Ogni tanto irrita (vogliamo dirlo? fa incazzare) ma regala pagine sublimi e dettaglia magnificamente che la libertà di movimento è un tema essenzialmente interiore.

 

Olga  Tokarczuk

I vagabondi

Traduzione di Barbara Delfino

Bompiani

Di |2020-09-11T15:02:34+01:0029 Marzo 2019|11, Libri consigliati|

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