Recensione del film Il colpevole

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Sono parecchie le festicciole di compleanno costate più di questo film. Che, messo in piedi con un’economia di mezzi quasi surreale,  si fonda su una di quelle idee formali di solito più riuscite a dirsi che a farsi. Un attore, uno, e pochi volti sfuocati di corredi; due stanze, due, nelle quali si svolge tutto il film. Prima che qualcuno si tagli le vene a titolo precauzionale, è necessario dar conto della trama e della circostanza che si tratta, a modo suo (tra poco diremo quale) di un film d’azione.

 

La scena è ambientata in un centralino di polizia del pronto intervento, in Svezia,  e il protagonista, Asger Holm è un agente che esercita quel noioso ruolo per castigo, giacchè il giorno dopo subirà il processo per aver abusato delle sue funzioni in strada in un modo che ancora non conosciamo. Holm, angosciato per le grane sue, risponde abbastanza svogliatamente a quelli che rubrica come gente che ha bevuto troppo (se non è un fissato lui l’alcolismo deve essere una piaga seria, da quelle parti) fino alla chiamata da un cellulare di una donna che finge- rivolgendosi a Holm- di parlare con la sua bambina e lascia intendere così di trovarsi in una situazione di pericolo, decifrata da Holm quale rapimento. Il poliziotto riesce a rintracciare il telefono di casa della donna (le tecnologia sciorina sul display un flusso mica male di informazioni su chi chiama) e a parlare con la figlia di sei anni: dice di essere stata piantata lì col fratellino dalla madre e dal padre, che non vivono più insieme, e che l’uomo ha fatto una scenata terribile. A Holm pare tutto chiaro, così si sforza di intercettare la direzione di marcia dell’auto. Intanto promette alla piccola che farà tornare la mamma a casa e spedisce una pattuglia a farle compagnia. La possiamo vedere come l’occasione per riscattare la colpa che si porta dietro, e/o come la modalità empatica, decisionista e interferente con cui Holm gestisce casi per i quali dovrebbe, a rigore, limitarsi allo smistamento. Holm viene a collocarsi in una posizione ambigua tra il desiderio di onnipotenza, che la tecnologia di controllo delle navigazioni stradali sembra esaltare, e una frustrante impotenza, lontano com’è dagli eventi e impossibilitato ad assumerne effettivamente il controllo. E’ una simile ambivalenza, forse, che lo porta a fraintendere il corso degli eventi, che rivela una realtà assai più complessa e ancor più drammatica di quel che le evidenze parevano prospettare.

 

“Il colpevole” è un originale thriller in cui l’azione drammatica, mediata dalla concitazione di Holm, viene affidata in outsourcing ad agenti (intesi sia come poliziotti sia e soprattutto come persone che agiscono) fuori campo. Il regista esordiente Gustav Moller persegue il raffinato obiettivo di creare tensione cinematografica mediante una struttura percettiva differente dalla vista, e che molto si fonda sulle voci e i rumori che provengono dal telefono. Se la suspense nella pratica di Hitchcock consisteva nel fatto che lo spettatore fosse più informato dei protagonisti, anche vedendo cose che non avevano visto loro, nel Colpevole noi siamo chiusi nella stanza insieme al protagonista e ridotti alla sua stessa visione limitata. Per giunta immedesimati completamente in Holm perché il tempo filmico è uguale al tempo reale, i novantacinque minuti del film sono gli stessi che vive Holm. Il dato più sorprendente di questa costruzione è la fluidità con la quale Moller riesce a trasmetterci per tempo tutte le informazioni sulla storia, anche la parte che riguarda il processo di Holm, senza derogare al codice espressivamente ascetico che ha adottato e quindi senza usufruire della quasi totalità degli espedienti che, dal coro greco in poi, tutti gli autori hanno avuto a disposizione per completare il racconto.

 

La sceneggiatura è tagliente ed efficace, i suggerimenti ambientali stimolanti: ad esempio è del tutto verosimile che i “clienti” del servizio vadano trattati con efficienza ma de-personalizzando rapidamente la vicenda (ciò che non fa Holm, visto da tutti come un trasgressore deontologico). Almeno sino a qualche anno fa le attività di volontariato in Svezia esigevano una rotazione obbligatoria degli anziani assistiti per evitare che l’attaccamento individuale offuscasse l’universalizzazione del servizio.

Il colpevole ha conquistato il pubblico, che lo ha premiato a Sundance, a Rotterdam, a Torino, e si vuole che una buona fetta di merito vada all’attore Jakob Cedergren. E’ indiscutibile che per tenere un film da solo per un’ora e mezzo si debba essere interpreti di un certo valore, ma è anche vero che la cristallizzazione ambientale e la mancanza di interazione fisica potano tutta una serie di applicazioni espressive. Cedergren non tradisce la prova ma non offre tutto sommato quel plusvalore che certi altri attori (non tanti, ma nemmeno contati sulle dita delle mani) avrebbero assicurato.

 

Il colpevole

Gustav Möller

Votazione finale

I giudizi

soli_4
Perfetto


Alla grande


Merita


Niente male


Né infamia né lode


Anche no


Da dimenticare


Terrificante

ombrelli_4
Si salvi chi può

Di |2020-09-11T15:02:44+01:0028 Marzo 2019|Il Nuovo Giudizio Universale|

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