Recensione della serie “Gomorra”

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La sfida di una serie come “Gomorra” focalizzata intorno a più personaggi che competono per crudeltà è quella di lasciare aperte allo spettatore le porte dell’immedesimazione con qualcuno di loro, mostrandone qualche crepa di fragile umanità. Nelle prime due serie, tuttavia, la psicologia dei personaggi è sempre stata piuttosto sommaria, annegata in una passionalità rapace e morbosa, confusa nello stordimento dell’azione, immolata a un nichilismo più o meno consapevole.

La terza serie, per quel che si è potuto vedere sino alla sesta puntata (dunque a metà) sotto questo profilo cresce d’ambizione, e prova a scavare più a lungo (anche con le pause del ritmo che ne discendono) nell’interiorità dei protagonisti. Quando si tratta di new entry l’esito è alterno: a volte felicissimo, come nel caso di Enzo, il giovane camorrista di Forcella, altre volte involontariamente macchiettistico, come per il pavido Gegè, il ragioniere di Genny Savastano. Per quelli storici il risultato è quasi sempre lo stesso: di renderli meglio sfaccettati ma anche meno verosimili dentro il contesto.

 

Ecco che Genny Savastano cura sin troppo personalmente i suoi affari: tanto il padre si muoveva dietro un nugolo di esecutori quanto Genny incontra da solo partner e antagonisti, sbudella cadaveri e guida la sua auto o persino la barca a remi per recuperare carichi di droga. Così quasi scivola via l’assurdità narrativa di un uomo, che dovrebbe essere una potenza della malavita, e che improvvisamente si trova a terra fuori Scampia, solo come uno straccione e pestato a sangue, ad alimentare persino lui la parabola contemporanea del precariato lavorativo. E la non meno assurda resurrezione in tempi record, con un abbozzo di descrizione molto grossolano del rapporto tra potere, politica e riciclaggio di denaro.

Ciro Di Marzio, l’Immortale (pure se “l’Immortale oramai è muort’” come dice lui) dichiara di voler espiare la pena che merita per avere esposto la piccola figlia alla morte e ucciso la moglie. Era difficile pensare che entrasse in un convento carmelitano o si dedicasse alla raccolta di cibo sostenibile: però è ben singolare l’iniziativa di andare a fare bassa manovalanza criminale in Bulgaria prendendo ordini da un guappetto di Sofia più scostumato dei camorristi (e un po’ facilotto giustificarlo che “doveva vedere l’inferno”). E per riscattare Ciro allo spettatore la sceneggiatura lo cala negli improbabili panni di un pietoso giustiziere che dopo un massacro di bruti restituisce la libertà a una giovincella albanese cooptata per il divertimento sessuale dello psicopatico boss. Quel che si vede nella terza puntata, alla fine, è la trasformazione di Ciro nel Clint Eastwood dei giorni buoni (che mai sarà stupefacente quanto vedere nella sesta Genny & Ciro camminare affiancati in stile Roger Moore e Tony Curtis in   Attenti a quei due).

L’evoluzione più singolare è quella di Giuseppe Avitabile, il suocero di Genny: nella seconda serie era un imprenditore colluso e dai loschi traffici finanziari, che il tradimento di Genny spediva dritto in galera. E’ vero che la prigione non rieduca ma l’Avitabile che ne esce (agli arresti domiciliari) è una belva esagerata, un personaggio totalmente ridisegnato, diventato a sua volta un boss in grado di reclutare e comandare sicari oltre che stringere alleanze con altre cosche. La sua caratterizzazione estrema pare un altro tributo reso al patto di immedesimazione dello spettatore con altri protagonisti. Sì, Genny ha mandato Ciro a uccidere il padre, però, ci viene da dire, un fetente come Avitabile (che del resto minaccia di morte la figlia) ancora non lo avevamo visto.

 

Insomma, rispetto alle serie precedenti Gomorra pare vivere maggiormente di espedienti narrativi tradizionali e forse per questo più prevedibili nello sviluppo. Quattro volte su cinque lo spettatore più accorto capisce mezzora prima chi è il prossimo destinato al trapasso. Gomorra continua a essere una buona fiera antropologica (mai quanto lo fu il film di Garrone, però) e però segna il passo sul piano della denuncia sociale che fu. Ora è definitivamente un intrattenimento di altissima qualità, un “prodotto” (come sul dirsi) concorrenziale con gli omologhi americani, e spesso superiore, specialmente nella mostruosa compagine attoriale e nella secchezza espressiva di certi dialoghi, oltre che nell’ammirevole misura che quasi mai fa debordare la violenza nel pulp. Sul plot, sin qui la storia è ancora appesa a troppi fili per un giudizio finale. Sappiamo, questo sì, che sarebbe meglio smetterla con quella scritta conclusiva “tratto dal romanzo Gomorra di Roberto Saviano”, perché “tratto” vuol dire un’altra cosa, specie se il libro originario aveva la pretesa a sua volta di trarre la sua materia e forza dalla cronaca.

 

Gomorra

Terza serie, prime sei puntate

Votazione finale

I giudizi

soli_4
Perfetto


Alla grande


Merita


Niente male


Né infamia né lode


Anche no


Da dimenticare


Terrificante

ombrelli_4
Si salvi chi può

Di |2020-09-11T15:16:26+01:001 Dicembre 2017|Il Nuovo Giudizio Universale|

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