Recensione del film “Ella & John”

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“Ma questo potevo farlo anch’io” è la frase paradigmatica con cui alcuni sbottano davanti a certe opere di arte contemporanea. Chissà perché a nessuno viene mai in mente per il cinema. Se proprio si deve cominciare, un buon test potrebbe essere “Ella & John” di Paolo Virzì, il suo primo film americano: che ha segnato (si spera temporaneamente) il passaggio della fresca spontaneità e dell’avvolgente capacità affabulatoria del regista italiano a una narrazione rigida,

impersonale e carica di convenzioni e stereotipi stilizzati che ricalca i lati peggiori, o quanto meno i più logori, del cinema hollywoodiano. Detto affettuosamente: tu vuò fa l’americano, ma anche no!

 

La storia, tratta dal romanzo In viaggio contromano di Michael Zadoorian, ha una sua manipolatoria forza attrattiva, benché rientri ormai in un canone: una coppia di ottantenni, Ella allo stadio terminale di un tumore, e John, ex professore di letteratura con la memoria divorata dall’Alzheimer, decidono di sfuggire alla medicalizzazione a alla morbosa protezione dei figli e di partire per un viaggio memorabile. Gioca a loro favore che avessero tenuto in garage il camper, il Leisure Seeker, e che, nonostante il rincoglionimento, John conservi una guida impeccabile, tipo il tassista che alla nostra chiamata vorremmo ci mandasse la centrale. Il viaggio lungo la Florida vale non solo per la meta ma per il viaggio in sé, e però una destinazione ce l’ha: la casa di Hemingway, vero pallino del vecchio professore. Ella è piuttosto ben organizzata e parrebbe che la gestione dei bagagli per la partenza sia stata eccellente. Ma pure Virzì, nel preparare la sua valigia per le scene da portare in trasferta, è stato non meno minuzioso: allora, vediamo, film di anziani che si amamo, uhm… Quello svampito che un minuto è presente a se stesso, turgidità del membro inclusa, e il minuto dopo chiede dove si trova e perché hanno lasciato a casa i bambini (ora ultracinquantenni)? Preso! Gli anziani molesti perché attaccano bottone con il prossimo, che si guarda intorno per capire come squagliarsela? Preso! La vecchia che quando incappa nei teppisti imbraccia il fucile? Preso! La scenata di gelosia di lei perché nella sua confusione lui confessa una datata storia di tradimento, con perdono successivo? Preso! Farla in barba ai medici? Preso! I figli agitatissimi che dicono siete pazzi, dove siete, tornate? Preso! Loro che rispondono stiamo bene, è bellissimo, vi vogliamo bene? Preso! E ovviamente preso anche il finale, che otto spettatori su dieci indovinano dopo un quarto d’ora.

 

Quel che non si può rimproverare al film è una mancanza di chiarezza, visto che ci tratta come se fossimo tutti afflitti da demenza senile e scrive dialoghi e scene dal fastidioso didascalismo, risparmiandoci solo l’umiliazione dei sottotitoli. I dialoghi tra i figli sono imbarazzanti e paiono presi da una telenovela brasiliana degli anni settanta. La casa di Hemingway come meta, che si presterebbe a una serie di singolarità narrative, assai più in là del fatto che fosse diventata un bordello per turisti, rimane un puro pretesto – poteva essere a quel punto la casa di Melville, di Tolkien, di Ginger Rogers o di Maradona, era la stessa cosa. Il viaggio on the road è offerto nella scenografia come fosse servito a Virzì giusto per passare la dogana, la fotografia è piattissima e se rivelassero che l’hanno girato tutto a Porretta Terme non ci sarebbe poi da stupirsi. La colonna sonora di Carlo Virzì è una delle più insulse della storia del cinema, senza il piacere dello sviluppo né la tensione della stasi, senza raccordo né antitesi con le sequenze. Gli attori nella sostanza sono esclusivamente i due protagonisti, Helen Mirren troppo frizzante per risultare credibile e Donald Sutherland, che interpreta bene un ruolo che però è facile facile. Le trovate non scontate si contano, e quella più interessante, la proiezione di diapositive sul lenzuolo dentro il campeggio, si compiace di ripetizioni che rapidamente la consumano.

 

E’ sorprendente che un film tanto mediocre sia uscito quasi indenne dalla critica. Forse un’attenzione verso la biografia, filmica e personale, di Virzì, forse un soggetto che a dispetto di tutte le lacune la sua quota di tenerezza la conquista per forza. Ma proprio il trattamento così grezzo di un materiale narrativo umanamente prezioso, coincidente con i nostri incubi e i nostri sogni quando ci proiettiamo nel futuro della vecchiaia più distruttiva, suscita un sentimento rabbioso di ribellione. Per purificarci e commuoverci, sul tema dell’amore anziano, riprendiamo piuttosto in mano il piccolo libro di Andrè Gorz, Lettera a D. Storia di un amore.

 

 

Ella e John- The Leisure Seeker

Paolo Virzì

Votazione finale

I giudizi

soli_4
Perfetto


Alla grande


Merita


Niente male


Né infamia né lode


Anche no


Da dimenticare


Terrificante

ombrelli_4
Si salvi chi può

Di |2020-09-11T15:16:21+01:0031 Gennaio 2018|Il Nuovo Giudizio Universale|

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