Bad Plus, il trio jazz più creativo del mondo

Home>Bad Plus, il trio jazz più creativo del mondo

La fama del trio Bad Plus comincia nel 2002 in modo essenzialmente parassitario, quando registrano, in un album composto interamente di cover, quella nulla più che divertente di “Smells Like Teen Spirits” dei Nirvana. Quell’episodio tuttavia finisce per condizionarne lungamente il percorso, non solo perché li spinge a persistere nelle cover, ma perché sposta l’attenzione su un certo flessibile virtuosismo e alimenta le leggenda “crossover” sul loro conto

: i Bad Plus (Ethan Iverson al piano, Dave King alla batteria, Reid Anderson al basso) sono bravissimi, ma non si sa che genere fanno, è tra il rock, la classica, il jazz. Formula di presentazione accattivante, ma paradossalmente riduttiva, che pure continua a rappresentarli, perdendo completamente di vista la loro evoluzione e il fatto che oggi costituiscano la punta di diamante del rinnovamento dei canoni jazzistici e uno dei fenomeni più interessanti della musica in generale. E’ un peccato che un tale splendore, almeno in Europa, rimanga confinato a un pugno di iniziati: li ho appena sentiti in concerto al Sunset di Parigi (che da qualche anno vanta il miglior calendario jazzistico della capitale francese) insieme a una cinquantina di altri fortunati. Era solo uno dei quattro loro concerti, quello all’orario meno consueto, e possiamo presumere che il numero debba moltiplicarsi abbondantemente per quattro, facciamo pure per sei e mezzo. Ma intanto da Vasco erano in duecentoventimila, e così va il mondo. E’ ovvio che un cantautore di quel genere, qualunque cosa se ne pensi, è la memoria personale di intere generazioni e una band jazz è difficile che lo diventi, se non sei nato a New Orleans negli anni Venti. Però numeri tanto risicati, al cospetto di simile qualità, non sono mai una buona notizia.

 

E’ sorprendente che si insista sulla storia delle cover, come fosse chissà quale botta di originalità, quando essa si identifica precisamente con la storia del jazz, nella quale il numero di musicisti non è nemmeno la millesima parte dei brani che vengono suonati. Come correttamente ha dichiarato in un’intervista Ethen Iverson, il pianista dei Bad Plus, la variante è quasi solo nominalistica; My Funny Valentine l’hanno replicata in duecento (per inciso, mai raggiungendo l’apice di Chet Baker), solo che questo viene chiamato standard. Il jazz, per lo più consiste, nell’improvvisazione sopra lo standard. I Bad Plus hanno allargato il range degli standard, pescando a piene mani nel rock, nel pop e persino nell’elettronica (tra i vari: U2, Prince, Peter Gabriel, Aphex Twin, Kraftwerk) ma prendendoli per mano, facendogli fare una breve passeggiata ai giardinetti (cioè cominciando il pezzo con la riconoscibilità pura del brano) e poi conducendoli nella casa del jazz. Alla fine insomma suonano rigorosamente jazz, e che l’origine sia una musica pop nemmeno è una novità assoluta. Basta ricordare Time after time che fu un successo da classifica di Cindy Lauper, e si ritrova nell’ultimo album dei Bad Plus, ma prima era stata rifatta in chiave jazz da un’infinità di artisti tra cui Miles Davis (al quale si deve la variante forse più suggestiva), che la propose felicemente anche in un’edizione del Festival di Montreaux.

Per comprendere l’essenza dei Bad Plus non bisogna esagerare nel dipingerne l’eccentricità. Il trio è l’avanguardia d’eccellenza dentro un momento storico particolare, nel quale sia il rock che la musica classica stentano molto a rinnovare le loro formule. E’ dentro il jazz che la contaminazione dei generi, ma più propriamente l’assorbimento degli altri in uno dominante, sta maturando l’evoluzione musicale più significativa di questo decennio. Sono in diversi a provarci, ognuno con i mezzi che ritiene congrui. Il sassofonista Steve Lehman assolda dei rapper e spara coerentemente le sue note sopra i loro riavvolgimenti linguistici (il disco si chiama Selebeyone, è magnetico ed emozionante). Kamasi Washington aggiunge venti coristi e archi a profusione alla strumentazione di genere e rivisita l’anima soul alla luce dell’esplodere della world music. Wadada Leo Smith indaga con le pause della sua tromba le tracce espressive del silenzio in modo più convincente dei compositori classici contemporanei. Chiaramente tutti conservano la radice ma anche rompono in qualche modo con i canoni precedenti del jazz.

 

Se non le cover, dunque cosa portano di nuovo i Bad Plus in un simile panorama? Intanto che suonano in modo compatto, sempre come un trio, senza un leader e soprattutto senza assoli: un vero abisso rispetto alla tradizione. Poi che adottano uno stile percussivo (solo a tratti temperato da Ethan Iverson) che, proprio in quanto praticato in gruppo, risulta fortemente marcato e raccoglie addirittura qualche sonorità hardcore (dal vivo ne risulta un tantino penalizzato il bassista Anderson, a tratti sopraffatto dall’esuberanza tribale dell’entusiasta Dave King). Ancora, quello che è il loro marchio indistinguibile, un uso costantemente alterato del ritmo, che influenza anche l’armonia. Per chiudere, ho scoperto al concerto che i Bad Plus non improvvisano: educati dalle cover a trovare una versione alternativa convincente paiono riluttanti a ritoccare materiale che ha già richiesto una dose notevole di creatività.

Mentre si continuano a descrivere come brillanti cover-men, i Bad Plus questa creatività l’hanno sviluppata su temi originali, scrivendo nel giro di tre anni Made Possible e Inevitable Western, due degli album più entusiasmanti negli ultimi venti anni di jazz, che alternano una vibrante energia pulsionale a momenti di lirico abbandono scossi, ma anche innestati, dalle imprevedibili accelerazioni e decelerazioni, oltre che dall’impasto timbrico che molto (ma non tutto) deve a Iverson. In mezzo, com’era normale, per dei trasgressori del ritmo, hanno affrontato su commissione la Sagra delle Primavera di Stravinsky (The Rite of Springs) e hanno felicemente accompagnato il versatile sassofonista Joshua Redman. Nel 2016 nuovamente un disco di cover, “It’s hard” decisamente freddino rispetto alle ultime produzioni. Il loro destino, potenzialmente parecchio luminoso, sembra ormai quello di comporre, oltre che suonare.

 

Per ascoltarli

Link a Seven Minute Maid

Link a Gold Prisms Incorporated

 

Bad Plus

Votazione finale

I giudizi

soli_4
Perfetto


Alla grande


Merita


Niente male


Né infamia né lode


Anche no


Da dimenticare


Terrificante

ombrelli_4
Si salvi chi può

Di |2020-09-11T15:16:40+01:0021 Luglio 2017|Il Nuovo Giudizio Universale|

Scrivi un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Torna in cima